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 2017  novembre 29 Mercoledì calendario

Il romanzo di Rino Gattuso, un uomo da cui imparare

Caro Aldo, 
al nuovo allenatore del Milan, Gennaro Gattuso, 39 anni, calabrese, l’ex presidente Berlusconi – che di calcio mastica di più dei suoi successori – riconosce quel «quid» che non trovava nel ministro Alfano e nell’ex tecnico Vincenzino Montella...

Caro Pietro, 
Rino Gattuso finora come allenatore non ha combinato granché, ma il suo grande ritorno è una buona notizia per chiunque ami lo sport, visto anche come romanzo popolare e come scuola di comportamento. I calciatori si dividono in due categorie: quelli consapevoli di avere un ruolo pubblico e quindi disponibili a parlare con i giornalisti; e quelli che sfilano via con le cuffiette nelle orecchie, salvo bombardare di messaggini i cronisti amici perché facciano pressioni a loro favore. Rino Gattuso appartiene alla prima categoria. Non se la sentiva di fare il capitano del Milan: «Già portare la cravatta mi imbarazza, me la metteranno solo nella bara, figuratevi la fascia»; invece quando mancava Ambrosini la indossava lui. Figlio di una delle regioni più dure e trascurate d’Italia, ne è diventato il testimonial, quasi l’ambasciatore. Se uno nasce quadrato non muore tondo, la sua autobiografia, è «un’opera fondamentale della letteratura calabrese» come ha detto sorridendo. Da ragazzo si era inventato un mestiere: pescivendolo a domicilio. «Quando la sera le barche tornavano in porto, mi intrufolavo tra gli scaricatori e li aiutavo. Da ogni secchio mi davano qualcosa, e per fine serata riuscivo a racimolare un gruzzolo di pesci e molluschi. Poi andavo a rivenderli in piazzetta, ai vecchi che giocavano a carte al bar. Il cliente più avaro era mio nonno», Gennarino ovviamente. Ora che è diventato milionario, Gattuso ha aperto nel suo paese, Schiavonea di Corigliano Calabro, un’azienda per la depurazione dei molluschi. Lo ricordo trionfante negli spogliatoi dell’Olympiastadion di Berlino (9 luglio 2006), con la Coppa in pugno, e mesto in quelli di Johannesburg (24 giugno 2010), dopo l’eliminazione con la Slovacchia: «Abbiamo chiuso noi; non l’Italia. Altri giocatori, più giovani, vestiranno la maglia azzurra. Vinceranno e saranno felici, perderanno e proveranno vergogna, come noi adesso. È stato il mio ultimo Mondiale. Una storia finisce; ma quel che abbiamo fatto quattro anni fa non ce lo potranno più togliere. Quella gioia me la porterò dentro per la vita, così come il dolore di oggi. Adesso tocca a una nuova generazione». Come fai a non tifare per uno così?