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 2017  novembre 29 Mercoledì calendario

Dentro la stanza dei lobbisti (che resta vuota)

ROMA Pino Pisicchio la chiama, con humour e disincanto, «dark room». È stato lui a volerla, insieme alla vicepresidente della Camera Marina Sereni. Che sospira: «Vien da ridere a dirlo, ma è stata una rivoluzione. Non è niente di che, ma per farla c’è voluta una congiuntura astrale favorevole». Al Senato gli astri, evidentemente, hanno remato contro. A Montecitorio da ieri la stanza dei lobbisti è operativa, controllata a vista da un nugolo di commessi: una gabbia dorata, con divanetti, pc e password «lobb2017», che dovrà contenere l’esuberanza del piccolo esercito di «portatori di interessi», solito pattugliare la Sala Mappamondo o il fumoir del quarto piano della commissione Bilancio. L’obiettivo è normalizzare e sterilizzare quello che altrove è considerato fisiologico. E che in Italia ha da sempre un fumus acre di sospetta contiguità con pratiche illegali. 
Alle 11, nella saletta sterile ci sono solo Anna Maria Carloni, che prende lezioni di inglese («What?»), e l’ignaro Walter Verini che legge il giornale: «Stanza dei lobbisti? Dove?». I primi, sperduti e sparuti, arrivano nel pomeriggio. Angelo Sena, della Leonardo (ex Finmeccanica), ha l’aria perplessa: «Mah, sono venuto a vedere. Ma non credo che questa sala sarà frequentatissima. Chi fa lobbying ad alto livello non ha bisogno di venire qui».
In Transatlantico è proibito l’ingresso ai 198 che si sono registrati finora e hanno ottenuto il pass arancione. L’elenco comprende multinazionali del tabacco tipo la British American Tobacco Italia e Philip Morris, sindacati (ma finora non Cgil Cisl e Uil), aziende note come Eni e Rai, ma anche onlus sconosciute come «La Caramella buona» e singoli cittadini. Tutti confinati nella stanzetta con video in bassa frequenza delle sedute della commissione Bilancio, in Galleria dei Presidenti. Chiamata «Corea» perché i cronisti vi furono confinati nel Dopoguerra. Oppure, altra versione, perché vi trovarono un’intesa il dc Franco Evangelisti e Franco Tatò (Pci) in un immaginario 38esimo parallelo (quello che separa Corea del Nord e Corea del Sud).
Pisicchio è soddisfatto: «Ci provavo dal 2001. Negli Usa è in Costituzione il diritto alla lobby, trasparente». I 5 Stelle son stati tra i primi a sollevare la questione: Vincenzo Caso che «smascherò» un consigliere parlamentare in pensione che esultava per «aver fatto azzerare» il tetto massimo al cumulo tra pensioni e incarichi pubblici.
Ma sicuri che in Transatlantico non ci siano lobbisti? Non proprio. Laura Castelli (M5S): «Diversi parlamentari sono stati eletti con i soldi dei lobbisti, per esempio di quelli delle sigarette elettroniche». Eccoli i lobbisti senza patentino, circolano liberamente, ridono e danno pacche sulle spalle ai deputati: ex assistenti e soprattutto ex parlamentari, con libero accesso. Come Italo Bocchino, che lavora per la società di Alfredo Romeo.
Nella «Corea» spunta Alessia Morani (Pd): «Vado a incontrare ora uno di Wind. Dicono che il termine di 30 giorni, messo per porre fine alla truffa delle bollette da 28 giorni, non è chiaro. Lo ascolterò ma gli dirò che, 30 o 31 giorni, si devono pagare 12 mensilità». Il 5 Stelle Davide Tripiedi è schifato: «Una volta si è avvicinato uno dei farmaci: l’ho cacciato». Michele Anzaldi (Pd) racconta: «Ne ho sfiorato uno una volta, di lobbista. Dopo 5 minuti ecco un messaggio su WhatsApp con l’emendamento riscritto».