Affari&Finanza, 27 novembre 2017
Paolo Fiorentino, il banchiere col pallino del calcio per salvare Carige dalla retrocessione
Chissà se riuscirà a vincere anche questa partita, Paolo Fiorentino. Lui che è stato calciatore, che è tifosissimo della squadra della sua città, il Napoli, che da manager Unicredit ha pilotato la Roma verso i nuovi proprietari americani, adesso è in campo per il rilancio di Carige, banca che ha ereditato sei mesi fa zavorrata da miliardi di crediti deteriorati e sottopatrimonializzata, nonostante due precedenti aumenti di capitale. A chiamarlo a Genova è stato il vicepresidente e principale azionista di Carige, Vittorio Malacalza, che per la “sua” banca cercava una scossa in grado di farla tornare competitiva e nuovamente redditiva. Impresa titanica, va detto, che non era riuscita a Guido Bastianini, l’amministratore delegato che lui stesso aveva voluto alla fine del mandato del precedente ad, Piero Montani. Con Fiorentino, quindi, siamo al terzo amministratore delegato in nemmeno tre anni. Se si potesse fare uno dei quei paralleli che tanto piacciono a Fiorentino quando racconta ai cronisti i destini della banca, mischiando aforismi e metafore, Malacalza potrebbe assomigliare a uno di quei presidenti “mangia-allenatori” che così spesso sono sulle cronache dei giornali. Comunque sia, ora tocca a lui dimostrare che la banca dei liguri non solo si può salvare evitando la retrocessione, ma può pure ambire a tornare nella parte alta della classifica, come lo era un tempo. Certo, le cose sono cambiate. Nell’epoca del “celodurismo” legato alla gestione di Giovanni Berneschi, Carige veniva presentata come una banca sempre a caccia di acquisizioni e ormai orientata a distribuirsi su tutto il territorio nazionale, sesta in Italia per capitalizzazione di Borsa.
Le ispezioni di Bankitalia e Bce e, a ruota, le inchieste della magistratura hanno fatto crollare quel castello di carta, costringendo chi è venuto dopo Berneschi a far emergere ogni tipo di criticità e sofferenza attraverso continui accantonamenti e rafforzamenti patrimoniali che hanno finito per deprimere i risultati contabili, facendo sprofondare il titolo fino a una manciata di centesimi e spingendo famiglie e imprese verso altri lidi bancari. L’ultimo dividendo risale al 2011, mentre la crisi che ha travolto Carige ha indebolito la sua leadership nei territori di riferimento, Liguria e Toscana, a tutto vantaggio delle banche concorrenti. Insomma, non propriamente una passeggiata, per l’ex direttore di Unicredit che è arrivato all’inizio della rovente estate 2017, dando una nuova svolta alla sua vita professionale, dopo la lunghissima militanza sotto le insegne della galassia Unicredit (Credito Italiano, Capitalia, Banca Roma) e una brevissima parentesi al timone di Ivri, storica società “di sorveglianza” traghettata verso più ampi confini “di sicurezza”. “Quella di Carige è nuova sfida che tutti noi vogliamo vincere – ha esordito presentandosi al quattordicesimo piano del grattacielo di via Cassa di Risparmio, quartier generale di Carige – E ce la faremo “. Per l’occasione Fiorentino ha pure sfoggiato un look nuovo, una barba incolta che ha passato l’estate e resiste anche nella stagione invernale, continuando però a lavorare con lo stesso metodo che lo ha contraddistinto negli uffici di Unicredit, concentrato sul business e tenace. Con Vittorio Malacalza, che dai suoi manager vuole veder gestita la banca come un’impresa, non sono inevitabilmente mancati i confronti dialettici “muscolari”, fattisi incandescenti nella madre di tutte le battaglie, quella per l’avvio dell’aumento di capitale da 560 milioni. È questo il cuore pulsante di un rafforzamento patrimoniale che nel complesso ne vale più del doppio, visto che oltre al denaro fresco Carige farà cassa anche cedendo immobili (già venduta per 107 milioni la sede di Milano, ora si tratta per quella di Roma), partecipazioni azionarie e società (imminente quella della controllata Creditis). Tutto quanto già fissato nel piano industriale di Fiorentino che prevede anche il restringimento del perimetro geografico del business, concentrandosi prioritariamente su Liguria e Toscana del nord, e un robusto taglio agli organici (mille esuberi su cinquemila addetti, cosa che ha provocato la scorsa settimana il primo sciopero dopo quindici anni, anche se di una sola sigla, la Fisac-Cgil). Dopo settimane di trattative e il rischio di veder tutto quanto sfumare davanti agli occhi, alla fine l’accordo con il consorzio di garanzia delle banche per l’aumento di capitale è arrivato e l’operazione è così potuta partire. E dopo mesi di lavoro in fondo al mare Fiorentino è potuto riemergere, manifestando ottimismo e sicurezza. D’altra parte, proprio il suo lavoro lontano dai riflettori gli aveva permesso di gestire la delicatissima trattativa per il passaggio della Roma alla nuova proprietà americana. All’epoca, estate 2014, Fiorentino, plenipotenziario di Unicredit nell’operazione, era stato soprannominato “Er Murena”. A scoprirlo fu proprio lui, glielo disse un tassista romano. Forse non un complimento, lanciato con sarcasmo da chi non aveva chiaro il ruolo del gruppo bancario nella vicenda. Ma anche in quel caso Fiorentino poté congedarsi dopo quattro anni di confronto con un “Missione compiuta, abbiamo messo la società in buone mani”. Ci fu chi arrivò addirittura a vedere in lui il nuovo presidente della Federcalcalcio, capace di riunire competenze tecniche maturate proprio nella vicenda- Roma e passione sportiva (ex calciatore, tifoso del Napoli). Ma la cosa probabilmente non decollò mai. La passione per lo sport è rimasta. A Milano Fiorentino era solito spostarsi in bicicletta, a Genova il rischio è di arrivare troppo sudati in ufficio, visto le continue salite. Ma è difficile che si perda qualche appuntamento sportivo della sua squadra del cuore, anche se la missione del rilancio di Carige lo sta assorbendo in modo quasi esclusivo. Ai cronisti e in conference call con gli analisti si presenta con un linguaggio molto diretto in cui abbondano i termini tecnici inglesi, ma anche le metafore. Per tranquillizzare i dipendenti nei giorni in cui il titolo scivolava sempre più in basso e il rischio di non concludere l’accordo con il consorzio di garanzia si faceva sempre più grande, ha scritto una lettera conclusa con un bizzarro “Manderemo tutte le palle in buca”. con un rimando evidente al biliardo. Ma il meglio di sé, in quanto a metafore e parallelismi, lo ha dato la scorsa settimana, presentando l’aumento di capitale da 560 milioni: un florilegio di citazioni, una più divertente dell’altra. A chi lo invitava a fare una previsione sull’aumento, Fiorentino, manifestando ottimismo (al punto da prevedere un riparto per la mole delle richieste), ha ricordato che l’aumento vale la metà del rafforzamento patrimoniale che in effetti è di oltre un miliardo di euro. “Carige non lascia, raddoppia” ha sentenziato omaggiando Mike Bongiorno. Ma ancor più curiosa è stata la sua risposta alle riserve manifestate dalla Bce sul futuro di Carige. In effetti, Francoforte non aveva nascosto i suoi timori sul ritorno alla redditività e sulla capacità della banca di poter proseguire, nel medio periodo, a camminare “stand alone”, lasciando intendere un’ipotesi aggregativa (cosa peraltro già avanzata in passato). “Stiamo già rispondendo nei fatti alle osservazioni e alle ispezioni della Bce – ha spiegato Fiorentino – Stiamo intervenendo sulla riduzione dei costi, con un taglio del 24%, sull’aumento dei ricavi e sulla totale rivisitazione del modello di business “. Poi, sempre rivolto ai cronisti, ha aggiunto: “Voi vedete la fotografia, io lavoro al cinema e faccio il film”. Quindi sa già molto bene quale sarà per Carige il finale.