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 2017  novembre 27 Lunedì calendario

Ma c’è chi non riesce a buttare nulla. L’identikit dell’accumulatore seriale

Cosa accade quando non ci si riesce a liberare degli oggetti superflui e l’accumulo diventa una patologia? Le conseguenze le ha davanti agli occhi tutti i giorni Giovanni Armando Costa, tecnico della prevenzione dell’Agenzia di tutela salute di Milano. Ha creato una équipe di esperti, unica in Italia ad occuparsi della malattia degli accumulatori compulsivi e delle conseguenze che hanno nelle case. «Ricevo tra le 200 e le 300 segnalazioni all’anno». Pochi giorni fa, ad esempio, è entrato nell’ennesimo appartamento buio, con le finestre chiuse forse da anni e un odore insopportabile che aveva allarmato gli altri condomini. All’interno non si è trovato davanti a una persona sola, come gli è più usuale. Ci viveva una famiglia. Una madre malata di accumulo compulsivo veniva sostenuta dai tre figli, maggiorenni, nella sua follia. «Su un giaciglio di fortuna dormiva il capofamiglia, dopo un turno di lavoro di notte. «Spazzatura e vestiti dappertutto impedivano l’utilizzo di ogni oggetto: occupavano sedie, divano, letti, persino il bagno». 
Il lavoro dell’esperto funziona grazie alle segnalazioni dei cittadini o delle forze dell’ordine. Scarafaggi e altri insetti che occupano gli androni a centinaia, odori nauseabondi, principi di incendi, infiltrazioni e vicini di casa che non aprono la porta sono i segnali che mettono in allarme. Il mal d’accumulo è in crescita, si chiama disposofobia e colpisce ogni ceto sociale. «Ricordo il caso di una signora che ogni giorno lasciava una situazione terribile a casa e poi si recava a lavorare in una scuola materna, dove scodellava pasti per bambini. O di un condominio che viveva la situazione di un accumulatore compulsivo a piano terra, le cui condizioni avevano reso irrespirabile l’aria dell’intero palazzo». Con Costa intervengono forze dell’ordine, psicologi, disinfestatori: «Chiediamo al sindaco di firmare un’ordinanza che impone all’inquilino di fare pulizia e sgomberare l’appartamento. Se non accade, si interviene di ufficio. Informiamo i servizi sociali e gli psicologi, che prendono in carico le persone». 
«Malate di accumulo», spiega l’esperto, «sono più le donne, di solito sole. Spesso c’è un evento scatenante che fa degenerare le cose. Come un lutto, la perdita del lavoro, il passaggio alla pensione o violenze di ogni tipo». Il difficile, ci racconta Costa, è farsi aprire la porta. Ricordo quell’uomo appassionato di quotidiani e riviste, che viveva tra cunicoli di scatoloni al buio e che aveva fatto cadere i primi calcinacci nell’appartamento di sotto: la carta pesa, si rischiava di creare danni strutturali. Un’altra donna usciva ogni giorno solo per cercare flaconi in plastica: «Era il suo obbligo mentale: li portava a casa e ne aveva accumulati a milioni». Dormono dove capita, spesso non riescono nemmeno a fruire dei servizi igienici. Quando la difficoltà di separarsi dagli oggetti diventa patologica? «La disposofobia è l’impossibilità di riuscire a liberarsi anche di oggetti che non servono a nulla, fino ai propri rifiuti. Si riempiono gli ambienti per colmare un vuoto».