Corriere della Sera, 27 novembre 2017
I Giochi della paura
PYEONGCHANG (Corea del Sud) Colpiscono i piloni giganteschi dove presto saranno montati i fari a led per l’illuminazione notturna delle piste. Sono centinaia, piantati dovunque, vicino ai trampolini, al tracciato per gli slittini, presso gli stadi, le tribune, gli skilift e le seggiovie, luccicanti al sole del pomeriggio in una giornata autunnale senza nubi. È una delle caratteristiche di queste Olimpiadi: a Seul garantiscono che saranno uno spettacolo senza precedenti le decine di gare di notte sulla neve illuminata a giorno. Ci saranno oltre 2.500 atleti da quasi cento Paesi, gareggeranno per 17 giorni dal 9 febbraio, seguiranno i Giochi Paralimpici. Ai piedi dei piloni incompiuti, l’erba gialla con i colori slavati del quasi-inverno è sventrata dai cingoli dei bulldozer e dai camion per il trasporto terra. I lavori sembrano quasi terminati. Gli organizzatori garantiscono il rispetto della tabella di marcia, anche se ai bordi delle piste restano da fissare chilometri di cavi elettrici.
Difficilmente la montagna martoriata dagli impianti può affascinare quando ancora non c’è neve. E la situazione non migliora se vi sono grandi lavori in corso. Le colline dolci e boscose che caratterizzano la cittadina di Pyeongchang non fanno eccezione. Si parte da 700 metri di quota per raggiungere cime che non superano i 2 mila. Mancano grandi pareti rocciose o ghiacciai. Ma il nostro giudizio è condizionato dall’ipoteca pesante del braccio di ferro nucleare tra Donald Trump e Kim Jong un. Ci arriviamo in questo periodo difficile. La retorica delle minacce muscolari tra i due presidenti ha continuato a crescere durante l’estate e sta vivendo un nuovo picco a pochi giorni dalla fine della visita di Trump in Asia. «Non è impossibile che l’escalation delle provocazioni divenga ancora più pericolosa proprio durante l’Olimpiade», paventano dietro le quinte i generali Usa incaricati dello scacchiere coreano. Un impiegato alla direzione dei Giochi non risparmia critiche al suo governo e Washington: «Gli occidentali puntano sempre il dito contro il governo folle di Pyongyang. Ma dimentichiamo le nostre responsabilità: siamo noi i primi che vorremmo annettere la Corea del Nord». Il suo capo ufficio ha un giudizio opposto: «Dobbiamo stare attenti alle follie di Kim Jong un. È un pazzo, non ci penserebbe due volte a premere il bottone rosso».
Gli scenari sono quelli dell’orrore che pensavamo superati per sempre con la fine della Guerra Fredda. E sono gli stessi operai incontrati mentre asfaltano le strade che conducono ai grattacieli del villaggio olimpico a buttare acqua sul fuoco: «Non accadrà nulla. È dalla fine della guerra di Corea nel ‘53 che periodicamente si riaccendono le tensioni. Siamo abituati a convivere con il pericolo e a rimuoverlo dai nostri pensieri», dicono indicando un paio di vecchi cartelli che mostrano il percorso più veloce verso i bunker anti-atomici situati nel centro della zona urbana. Accanto a loro sorridono le gigantografie in gomma di Soohorang l’orso e Bandabi la tigre, le mascotte diventate simbolo gioioso dei Giochi. Le strade del centro di Seul ne sono tappezzate, soprattutto la passeggiata pedonale lungo lo Cheonggyecheon, il fiumiciattolo che scorre non lontano dal palazzo reale.
Eppure i dati delle vendite dei biglietti al pubblico parlano chiaro: è crisi, contro le aspettative. La stampa locale stima siano stati venduti sino ad ora solo il 30% dei posti. E ciò nonostante siano stati inaugurati nuovi hotel di lusso a prezzi contenuti, oltre al rifacimento ex novo della linea ferroviaria. I 180 km dalla capitale vengono percorsi adesso in meno di un’ora e mezza. Pyeongchang contava meno di 4 mila abitanti sino a cinque anni fa, vittima dell’emigrazione verso Seul. Ma proprio i lavori per l’Olimpiade hanno portato al boom demografico: la popolazione supera ora quota 12 mila, con tanti giovani tecnici e manodopera qualificata. Però i biglietti non lievitano. Non è dunque strano che le grandi banche nazionali abbiano annunciato di volere intervenire per l’acquisto di pacchetti omaggio per i clienti. Si sta pensando di mobilitare le scuole con visite premio. Ma il rischio del flop di pubblico dall’estero sta diventando reale. Francia e Germania hanno fatto capire che non manderanno le squadre nel caso i rischi di guerra si facciano più alti. Lo stesso pensa di fare l’Austria. Da Seul cercano di rassicurare e ripetono l’invito alla partecipazione delle squadre della Nord Corea. «I Giochi sono una grande opportunità. Possiamo ridurre insieme le nostre paure. Abbiamo aperto il dialogo per una loro presenza alle gare», ripete il premier Lee Nak yeon. Appoggiato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, che nel frattempo si appella a una «tregua olimpica» sponsorizzata da Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone.