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 2017  novembre 20 Lunedì calendario

«Tutto si fa per amore. Paola di Lucia Poli»

  «Saggia? Alla mia età? Non direi. Con gli anni s’impara molto. Ma si dimentica moltissimo. Serena, sì. E soprattutto libera di fare e dire tutto quello che voglio». Lucia Poli, signora del palcoscenico, spiritosa e schiva, ribelle ed elegante, racconta i suoi 77 anni di avventure, maternità, ed emozioni, alla vigilia di un debutto a lei molto caro: dal 21 sarà Teresa, una delle Sorelle Materassi, al Teatro Quirino di Roma, con la regia di Geppy Gleijeses. «Palazzeschi ha accompagnato tutta la mia vita. Con mio fratello lo abbiamo saccheggiato. Il suo doppio sapore ironico e drammatico, profondamente toscano, è stato sempre un punto di riferimento per il mio modo di stare al mondo e in scena».
Primi del Novecento, in un sobborgo fiorentino tre sorelle e una domestica vivono isolate dal mondo: Teresa e Carolina ricamano corredi e cercano di risollevare le sorti dell’azienda familiare. Giselda, abbandonata dal marito, coltiva risentimento e rabbia, mentre la domestica, Niobe, alimenta ottimismo e saggezza popolare. Una quiete su cui piomba la tempesta: un nipote, figlio di una quarta sorella morta, bello e spietato, risveglia e seduce le anziane signore fino a trascinarle alla rovina. «Un testo pazzesco che attraversa tutti i sentimenti. Per un’attrice, il massimo. E poi si parla la mia lingua. Così piena di sfumature».
Che ruolo ha avuto l’amore nella sua vita?
«L’amore è tutto. Ognuno ha la sua storia. Molto dipende dagli incontri. Ci sono i rapporti deviati. Il sentimento cieco. Malato. Come succede alle sorelle Materassi. Qualsiasi forma abbia, non importa. Tutto si fa per amore».
È mai arrivata alla follia di Teresa e Carolina?
«No. Con il mio carattere e la formazione familiare, non avrei mai potuto sottostare a una simile prepotenza. Ma comunque, sottomessa o non sottomessa, la forza dell’amore è sempre vincente. Anche nel romanzo di Palazzeschi. Nella scena finale, le due zitelle, distrutte, abbandonate e sole, guardano la foto del nipote che le ha ridotte sul lastrico e si consolano ammirando la sua bellezza. In fondo, quel giovane e spietato scompiglia le due anziane signore, ma risveglia un qualcosa che non avevano mai provato prima. Affetto, competizione, gelosia, e persino una sensualità che restava sopita da una vita intera».
Che tipo di donne potrebbero essere oggi le sorelle toscane?
«Forse le abitanti di un paesino sperduto. Ma non è questo l’aspetto importante quando si decide di mettere in scena un testo così. L’ambientazione è un po’ come un costume di scena. Si guarda, è bello, sicuramente meglio di quello di un grande magazzino. E finisce lì. Quello che resta, ed è eterna, è la tempesta di sentimenti. In un fuoco così ci si riconosce qualsiasi donna, sempre».
Anche lei si riconosce nelle tempeste passionali?
«Io non mi sono mai comportata da mogliettina modello. Sono stata spesso, e volentieri, fuori casa. Con il mio lavoro era impossibile avere un iter regolare. E ancora oggi mi piace tornare dal mio compagno, mio figlio, mio nipote. E mi piace partire. La libertà fa parte del mio dna. Così come il teatro».
Suo figlio come ha vissuto questo avanti e indietro?
«Da piccolo era sempre con me. Mi seguiva ovunque con una baby sitter. Quando poi ha cominciato la scuola, sono stata un po’ più ferma. Mi ricordo che i primi temi in classe li chiamava copioni. Ora c’è mio nipote che mi reclama perché sa che con me si gioca».
Le zitelle nel 2017 sono single felici e contente?
«Oggi la parola single non evoca solitudine, ma benessere. Le donne hanno scoperto la preziosità di vivere da sole. Le famiglie sono nidi di vipere».
La sua famiglia?
«Io sono stata fortunata. Nella mia famiglia il rispetto era la parola d’ordine. Mia madre affrontò l’omosessualità di mio fratello Paolo con una libertà di vedute inaudita per l’epoca. Ogni volta che si alzava il chiacchiericcio dello scandalo, lei rispondeva: i miei figli sono intelligenti. Sapranno scegliere la strada migliore. Aveva una mentalità apertissima, eppure era una ragazza di campagna che si mise a studiare per diventare maestra. Aveva capito che il suo avanzamento sociale passava per i libri. Ed è la stessa cosa che io dico ai giovani attori: studiate, qualsiasi cosa».
Lo studio e la bravura bastano? Le denunce per molestia di molte attrici sembrano raccontare una storia diversa.
«Ho vissuto tutto al contrario. Il capocomico ero io. In una compagnia scaciata con quattro soldi. Ma ero io a dover decidere che era più adatto a una parte. E giuro che non ho molestato nessuno. Insomma, quella trafila non l’ho mai fatta. Ma capisco l’umiliazione di dover passare sul divano del produttore. E sono felice che in molte abbiano trovato il coraggio di tirar fuori questo vissuto pesante. Serve a loro per superarlo e a tutte le altre che verranno. Parlate, parlate, parlate. Io non mi tengo più niente. Non devo stare attenta a nulla e a nessuno. La vecchiaia ha i suoi privilegi. Compresa la liberazione di non essere più un oggetto del desiderio».