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 2017  ottobre 22 Domenica calendario

Letterari peccati di gola

La cultura è una specie di coltura, di coltivazione, di irrigazione: non sorprende, allora, trovare queste arti attovagliate insieme al banchetto delle Belle Lettere. «Davanti al cibo, al vino e agli spiriti si trovano sempre gli uomini», scrive Andrea Mattacheo nella raccolta A tavola, da lui curata. «Istinto di sopravvivenza e desiderio. Ecco perché la letteratura si accomoda volentieri attorno a un tavolo», e con Lei gli Antichi Maestri della narrativa, che si sono, da sempre, divertiti ad affabulare «storie di cibi e vini».
A tavola Mattacheo raduna un blasonato gruppo di autori moderni, nati non prima di metà Settecento, apparecchiando un menù di racconti ghiotti, ripieni di «fame e voglia» e altamente appetitosi per le papille gustative del lettore, a patto però che costui sia onnivoro, non beceramente sedotto da mode culinarie recenti, tipo il veganismo. Solo un amante della carne, o almeno chi non la schifa, potrebbe apprezzare I galletti e il bottaio di Pirandello o la tragicomica Dissertazione sul maialino arrosto di Lamb, penna biforcuta e irresistibile come ogni sadico che si rispetti: «Ammirate come si volge armoniosamente intorno allo spiedo (il porcello, ndr)!... Osservatelo, poi, come giace dimesso nel piatto, la sua seconda culla!». Per stomaci forti è anche la Cena particolare di Pessoa, crudele e truculenta ai limiti del cannibalismo.
Meno insensibile agli animali è, invece, il Babel’ de La mia prima vittima: un’oca: il titolo non lascia ben sperare, tuttavia il narratore confessa, infine pentito, che il suo «cuore, insanguinato da un delitto, gemeva e grondava». Ampio spazio è dedicato, poi, ai classici della letteratura culinaria, in primis la Meditazione VII. Teoria della frittura, tratta dalla Fisiologia del gusto di Anthelme Brillat-Savarin. Qui vi si legge, sempre in controtendenza con le mode contemporanee free di tutto: «I cibi fritti sono benaccolti nei banchetti per una serie di ragioni: sono piacevoli alla vista e si possono mangiare con le mani, una pratica che alle signore piace sempre. Inoltre la frittura fornisce al cuoco molti mezzi per mascherare ciò che ha cucinato il giorno prima». Siamo fritti, insomma, pensano le anime belle del salutismo e del crudismo imperanti.
A contraddire il celebre gourmand, in tempi non sospetti, ci si è messo pure Balzac con il Trattato degli eccitanti moderni, in cui, discettando di caffè, sostiene che «Brillat-Savarin è lontano dall’essere completo». Quanto al tabacco, è nottetempo sconsigliato, a patto di non averne bisogno per risolvere bagatelle coniugali: l’autore della Commedia umana spettegola, infatti, di una signora che teneva a bada il coniuge consentendogli di fumare cinquanta sigari al giorno. Così «divenne una delle donne più felici del regno. Aveva il marito senza il matrimonio. – La cicca ci dà il controllo dei nostri uomini».
Del godereccio Dumas (padre) è riportato un capitolo del Grande dizionario di cucina, un trattatello sulla «golosità» tipica dell’«uomo civilizzato, il selvaggio non ha bisogno che il suo appetito venga stimolato». Il francese snocciola i peccati di gola più famosi della storia, da Eva alla regina Anna, «abbastanza ghiotta, in particolare di champagne», dalla bulimia di Bruto ed Esaù ai banchetti di Giove e divina compagnia, in cui si mangiava poco e, verosimilmente, male.
Più che la cernita degli scrittori, discutibile del libro è la divisione in sezioni dagli slogan un po’ generici e disomogenei: «Stuzzicare il palato; Il calore del forno; Vino e spiriti; Il sapore della carne; Piaceri di fine pasto». Nel secondo capitolo, ad esempio, rientra Una cosa piccola ma buona di Carver, in cui Ann e Howard sono tampinati ossessivamente da un pasticciere perché non hanno ritirato il dolce ordinato. Una fetta di torta è anche protagonista della gara d’abbuffata di Damon Runyon, mentre Charles D’Ambrosio descrive due tossici alla disperata ricerca di soldi, droga e cibo. Non va meglio al medico alcolizzato di Horacio Quiroga, né al sedicente esperto di vini, di origini italiane (!), vittima di un inganno e di una feroce vendetta ne La botte di Amontillado di Poe.
Viceversa educativa e quasi terapeutica è la Sbornia di Tom Foster, ubriaco d’amore e dolore, nelle pagine di Sherwood Anderson, malinconiche e pensose come quelle della Mansfield, di London e di Cechov, che ricorda i morsi della fame di un padre e un figlio costretti a chiedere l’elemosina e le Ostrich e!
Se in Un racconto sul vino, «grande serbatoio di vita e di immaginario», Pier Vittorio Tondelli si lascia andare allo spleen, in Mangiare e bere Jerome K. Jerome dispensa il suo spassoso cinismo: «Dopo cena mi sento sempre sentimentale. È l’unico momento in cui riesco ad apprezzare le storie d’amore... La digestione, o meglio l’indigestione, ha un effetto meraviglioso sul cuore».
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Aa. Vv., A tavola. Storie di cibi e vini, a cura di Andrea Mattacheo, Einaudi, pagg.282, € 16