Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2017
Regole «a naso» e regole del caso. Il Nobel Kahneman ha smascherato le intuizioni fallaci che ci allontanano dalla percezione corretta dei dati
Versole cinque di sera di domenica 15 ottobre 2017 è arrivato il primo exit-poll delle elezioni austriache, penultime nella serie europea che si chiuderà con il voto italiano. Negli exit poll si domanda a un elettore come ha votato, nei sondaggi come pensa di votare. Nel primo caso, per solito, la previsione è più affidabile perché una persona può solo mentire, mentre nel secondo caso alla menzogna o alla reticenza si può aggiungere un genuino cambio di opinione. In entrambi i casi, comunque, ci si limita a interrogare un piccolo campione di votanti rispetto a tutta la popolazione che ha appena votato o che lo farà. Questa procedura implica un certo margine di errore. Per esempio, nel caso delle elezioni austriache, l’exit poll appena fatto dopo la chiusura delle urne non sa dirci con certezza se i socialdemocratici siano il secondo o il terzo partito. Non si può interrogare il quasi milione di persone il cui voto per posta sarà noto solo il 16 ottobre. Gli esperti inoltre ipotizzano che chi vota prima e da lontano tenda a scegliere in modo diverso da chi si reca alle urne. Se così fosse, l’exit poll non sarebbe accurato, come la bilancia starata del mio bagno che, se ci si pesa più volte di seguito, ci illude dandoci una misura precisa, nel senso che i chili indicati sono sempre gli stessi. E tuttavia non è accurata perché alleggerisce ogni volta di un chilo rispetto a una bilancia che funziona bene. Se invece l’exit poll viene fatto su un campione troppo piccolo, allora la misura non è precisa nel senso che se, in seguito alla stessa elezione, facciamo più exit poll avremo risultati ogni volta diversi gli uni dagli altri perché il campione non è sufficiente per darci un quadro fedele di come stanno le cose. Nei sondaggi austriaci, l’insieme di queste variabili determina secondo gli esperti un margine di errore superiore al 2%. Il senso comune tende a confondere accuratezza e precisione, anche se tutti capiscono che può capitare di essere precisi e accurati per puro caso.
In un passaggio del Cavaliere inesistente (1959) di Italo Calvino troviamo Bradamante, personaggio immaginario femminile dell’Orlando furioso, che prende in giro Rambaldo durante una sfida tra arcieri: «Colpisci il segno ma sempre per caso. – Per caso? Se non sbaglio una freccia! – Anche t’andassero bene cento frecce, sarebbe sempre per caso! – Cosa mai allora non è per caso? Chi riesce a riuscire non per caso? Lentamente Agilulfo, il cavaliere inesistente, s’avvicina, prende l’arco, si scrolla indietro il mantello... I suoi movimenti – racconta Calvino – non erano quelli dei muscoli e dei nervi che cercano d’approssimarsi a una mira: egli metteva a loro posto delle forze in ordine voluto, fermava la punta della freccia nella linea invisibile del bersaglio, muoveva l’arco quel tanto e non di più... La freccia non poteva che andare a segno. Bradamante gridò: – Questo sì è un tiro!»
In questa fantastica invenzione un solo caso, eseguito a regola d’arte, mostra una perfezione che è garanzia istantanea di precisione e accuratezza. Fare un sondaggio è in fondo come tirare una freccia contro un bersaglio: beccare il centro vuol dire fare una misurazione quanto più precisa e accurata.
I risultati dei sondaggi sono presentati e discussi durante le numerose trasmissioni televisive nel tentativo di prevedere l’esito delle future elezioni. Potete così assistere a un fenomeno che ricorda la magia del cavaliere inesistente. Viene presentata una tabella e si confrontano le percentuali dei partiti nel penultimo e nell’ultimo sondaggio. La tabella reca in basso, scritto in piccolo, il margine di errore che spesso è superiore al 2% perché sarebbe troppo costoso interrogare direttamente, e non per telefono, campioni molto grandi di elettori. Eppure di questo non si parla mai, la grandezza del campione è irrilevante, la metodologia non conta, il margine di errore svanisce. Nessuno si domanda se un altro sondaggio identico darebbe lo stesso risultato. Al contrario, ci si accapiglia su differenze percentuali piccole, persino dello 0,1%, e ci si domanda come mai quel partito mostri una tendenza alla crescita o al calo. La tendenza, in realtà, potrebbe non esserci e, se ci fosse, non sarebbe certo avvalorata dai dati di quel sondaggio. Non si pensi però che questa sia una frode architettata sapientemente per intrattenere in qualche modo gli ascoltatori e animare lo spettacolo. Esiste un’irrefrenabile tendenza della mente umana a non prendere in considerazione la grandezza di un campione, a credere di sapere come stanno le cose anche quando questa è pura illusione.
Nell’edizione di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez appena pubblicata in occasione del cinquantenario troviamo il disegno colorato dell’albero genealogico della famiglia Buendia sullo sfondo di una lussureggiante foresta tropicale. È un continuo alternarsi di Aureliani e José Arcadi. Nel romanzo si racconta come la capostipite Ursula ritenga che gli Aureliani siano riflessivi e dalla mente lucida e gli Arcadi impulsivi e troppo inclini all’azione. Questa conclusione discende dall’esame del carattere di tre Aureliani e di tre Arcadi e a Ursula «sembra indiscutibile» (p. 160). In realtà, l’esame di quei sei casi non è sufficiente per una probabilità statistica «indiscutibile». Però quando, nella stessa famiglia, avete avuto tre casi di un tipo e tre di un altro, viene spontaneo pensare che il nome di un Buendia sia un segno della sua personalità.
Tutti noi siamo di primo acchito un po’ Arcadi e, solo in seguito diventiamo Aureliani nel senso che, sui due piedi, diamo “a naso” giudizi non sufficientemente garantiti dai dati. Solo riflettendo con calma possiamo superare le intuizioni iniziali, giungendo così a conclusioni più meditate. Daniel Kahneman, il mentore di Richard Thaler, premio Nobel dell’economia di quest’anno (anche lui premio Nobel nel 2002), insieme all’amico Amos Tversky aveva dimostrato la tendenza a ignorare la rilevanza del rapporto tra un campione e la popolazione da cui è tratto. Si era servito di problemi come questo: «In una città sono attivi due ospedali. Nel più grande nascono circa 45 bambini al giorno, nel più piccolo circa 15. Sappiamo che il 50% circa dei neonati è di sesso maschile, ma l’esatta percentuale dei maschi varia di giorno in giorno: a volte è maggiore del 50%, a volte inferiore. Sull’arco di un anno ciascun ospedale ha preso nota dei giorni nei quali la percentuale di neonati maschi era superiore al 60%. Quale dei due ospedali ha registrato più giorni di questo tipo?»
La risposta prevalente, intuitiva, immediata, è che non c’è differenza tra i due ospedali. In realtà la risposta corretta è l’ospedale più piccolo. Essendo più piccolo è meno improbabile che in un giorno ci siano più di sei maschi ogni dieci nati.
Nel primo articolo scritto insieme da Tversky e Kahneman, l’inizio di una serie che cambierà per sempre il volto delle scienze umane e metterà in crisi la presunzione di abilità di pensiero fino allora date per scontate (da qui la serie dei Nobel), i due israeliani ammettevano che «è sempre possibile insegnare la regola corretta, anche senza troppe difficoltà», spiegando perché è sbagliata quella che loro chiamavano l’intuitiva «regola del naso». E tuttavia le «regole del naso» continuano a riemergere, a abbagliarci, anche dopo che ci sono state spiegate le corrette «regole del caso». Noi cerchiamo di eliminare illusoriamente caso e incertezza, crediamo che il mondo sia più regolare e prevedibile di quanto in realtà non sia, e lo facciamo anche a prezzo di convincerci in assenza di una prova statistica corretta. Ecco perché anche quando i sondaggisti indicano la natura del campione, quante persone non hanno risposto (per telefono?), e il conseguente margine di errore, poi, durante la trasmissione, di questo non si parla mai. I numeri mostrati davanti agli occhi dei telespettatori, le percentuali che sono lì, visibili nella tabella, questo solo è quello che conta e che è preso per oro colato.
Per la verità, le procedure per estrarre campioni da una popolazione non sono intuitive e anche gli esperti devono stare molto attenti, come mostra un recente lavoro di Anderson, Kelley e Maxwell. Se, da buoni e riflessivi Aureliani, seguissimo i dibattiti sui sondaggi alla luce delle necessarie cautele statistiche, ci accorgeremmo che le regole del naso tendono a prevalere su quelle del caso, ingannando forse anche coloro che, in teoria e a mente fredda, conoscono sia le prime che le seconde.
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Anderson, Kelley, Maxwell, Sample-Size Planning for more Accurate Statistical Power, Psychological Science, 26 settembre 2017