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 2017  ottobre 22 Domenica calendario

Tutto quello che c’è da sapere sul referendum

«Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?»; «Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?». Ecco i questi a cui domenica prossima sono chiamati a rispondere con un Sì, un No o una scheda bianca, 3,5 milioni di cittadini veneti e 7,7 lombardi. E per l’occasione, in Lombardia, debutta il voto elettronico mentre il Veneto andrà al voto 151 anni dopo il “plebiscito di Venezia, delle province venete e di quella di Mantova”, avvenuto il 21 e 22 ottobre 1866, e con cui il Veneto è stato annesso al Regno d’Italia.
La data è stata scelta da Zaia.
 
I due referendum sull’autonomia sono stati richiesti dai presidenti delle Regioni, Roberto Maroni per la Lombardia e Luca Zaia per il Veneto, entrambe della Lega Nord. Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, infatti, prevede che le regioni a statuto ordinario la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia, quindi con maggiori competenze rispetto a quelle previste anche senza un referendum. Quindi, la consultazione – che costa 64 milioni di euro – non è necessaria per chiedere allo Stato una maggiore autonomia, serve solo per dare più forza e legittimazione alla richiesta del Governatore. Infatti, l’Emilia Romagna ha aperto un tavolo con il governo per richieder maggiori competenze senza passare per la consultazione.
 
Spiega Pietro Pruneddu du Sky: «In Lombardia la proposta di indire un referendum sull’autonomia è stata approvata nel 2015 ma solo tra maggio e luglio di quest’anno sono stati firmati i decreti che hanno fissato data e quesito. Il Veneto, invece, nel 2014 ha approvato due leggi che istituivano una consultazione referendaria di cinque quesiti sull’autonomia e una parallela sull’indipendenza della Regione. Lo Stato ha impugnato le leggi chiamando in causa la Corte costituzionale che le ha bocciate quasi in toto dichiarandole illegittime, tranne che per un solo quesito sull’autonomia, quello su cui è stato formulato il referendum del 22 ottobre».
 
Si tratta di due referendum consultivi che quindi non avranno esiti vincolanti né per le regioni né per il governo centrale. Solo Camera e Senato, infatti, possono allargare le competenze regionali, approvando una legge a maggioranza assoluta. Quindi anche se vince il Sì Lombardia e Veneto non saranno ancora regioni autonome.
 
Al momento le regioni a statuto speciale sono 5: regione autonoma Friuli-Venezia-Giulia, legge costituzionale 1 del 31 gennaio 1963); regione Sicilia, legge costituzionale 2 del 26 febbraio 1948, già regio decreto 455 del 1946); regione autonoma della Sardegna, legge costituzionale 3 del 26 febbraio 1948); regione autonoma Valle d’Aosta, legge costituzionale 4 del 26 febbraio 1948); regione autonoma Trentino-Alto Adige, legge costituzionale 5 del 26 febbraio 1948).
 
L’obiettivo di Maroni e Zaia è il federalismo fiscale. Sul sito della regione Lombardia si legge: «La Lombardia è la regione che versa più tasse allo Stato ricevendo, in cambio, meno trasferimenti in termini di spesa pubblica» e «l’obiettivo – aggiunge Maroni – è trattenere almeno il 50% del residuo fiscale, 27 miliardi di euro all’anno in più, oltre il doppio del nostro bilancio di 23 miliardi. Si può fare anche con una legge ordinaria». E Veneto ed Emilia Romagna sono le regioni con un maggiore residuo fiscale dopo la Lombardia (fonte: Éupolis Lombardia). Ma non è solo una questione di soldi. Maroni vuole più autonomia sulla sicurezza, al fine di poter decidere sull’accoglienza dei migranti. Spiega il governatore: «Per queste ulteriori materie bisogna modificare la Costituzione. Ma non ci poniamo limiti, voglio cambiare la storia».
 
A favore del Sì sono la Lega Nord e il M5s. Anche Berlusconi è d’accordo: «I cittadini lombardi, se vince il Sì, avranno come conseguenza di essere gravati di minori tasse. E questo non è poco. È una richiesta che ogni Regione italiana potrebbe esprimere e va in direzione di quel federalismo che non indebolisce ma rafforza il Paese e che è nel nostro programma dal 1994». Il Pd è diviso ma il sindaco di Milano Sala ha le idee chiare: «Il mio invito è ad andare a votare nella consapevolezza che il referendum si poteva anche evitare. Ormai il referendum c’è, quindi andiamo a votare e votiamo Sì», mentre per il ministro Martina «il referendum regionale proposto in Lombardia è inutile e uno spreco di denaro e molti cittadini se ne rendono ben conto». Per la Meloni di Fratelli d’Italia, invece, si tratta«un egoismo locale che rischia di indebolire l’intero sistema produttivo-economico fondato sull’unità della nazione. La ricchezza del Nord è effimera al di fuori della coesione nazionale».
 
Il Corriere fa sapere che a Milano Assolombarda che prima era propensa al Sì ora non dà più indicazioni di voto. Anche Confcommercio non vuole schierarsi per il Sì sono invece artigiani e costruttori. E pure il presidente di Confartigianato Eugenio Massetti ha indicato «la via all’autonomia lombarda un assetto federalista sostenibile». Per Assimpredil-Ance il Sì significa: «Una maggiore partecipazione alla gestione delle risorse locali è strategica per aumentare la capacità di investimento sul territorio e sviluppare le potenzialità del nostro tessuto produttivo. È utile andare a votare: si potrà così verificare l’interesse per una maggiore partecipazione alle scelte sull’utilizzo delle nostre risorse». Aldo Busi, lo scrittore che vive a Montichiari, in Lombardia, invece, sul Fatto Quotidiano, si è schierato «contro quella cagata pazzesca dei referendum per l’autonomia della Lombardia e del Veneto e per abolire lo statuto speciale delle regioni che l’hanno già».
 
In Lombardia non è necessario raggiungere il quorum: «Se vince il Sì – ha detto Maroni – ho il dovere di aprire una trattativa con il governo» che però poi ha aggiunto «un conto è il 20 per cento, un altro il 90».  Storia diversa, invece, per il Veneto: la legge regionale prevede che per considerare valido il referendum debba esprimersi almeno il 50 per cento più uno dei votanti (Tuttavia che anche con la vittoria dei Sì le regioni non sono obbligate a portare avanti la richiesta di autonomia. Questo va ricordato perché in Lombardia, ad esempio, nel 2018 ci saranno le regionali e non è detto che un eventuale successore di Maroni voglia andare avanti per questa strada).
 
Se vince il Sì cosa succederà? Il 23 Zaia e Maroni avvieranno l’iter per richiedere l’autonomia secondo la procedura prevista dalla Costituzione e aprirà un tavolo con il Governo. Lo Stato sarà dunque chiamato a decidere se concedere o meno maggiore autonomia alle due regioni a seconda delle richieste che faranno i due Governatori. Tuttavia il Governo potrebbe anche decidere di non tenere conto del referendum. Scrive Paolo Balduzzi sulla Voce.it: «In altri termini, se domani il governo concede maggiore autonomia a Lombardia e Veneto sulla base di un referendum, è lecito aspettarsi che dopodomani anche le altre regioni a statuto ordinario organizzino un’analoga consultazione. Ma è difficile credere che il governo sia disposto a concedere maggiore autonomia a tutte le regioni italiane. Come scoraggiare quindi referendum di questo tipo? Dando poco peso a quelli già svolti. Ciò non vuol dire che Veneto e Lombardia non otterranno nulla: ma quello che otterranno, se lo otterranno, arriverà sulla base di criteri tecnici e non politici».
 
In Veneto si voterà con scheda cartacea e matita ma il Lombardia,
per la prima volta in Italia, il voto sarà elettronico. Per l’occasione Maroni ha speso 23 milioni di euro per comprare 24.400 tablet e per mettere a punto questa nuova procedura. Diego Chiarion, responsabile del progetto referendum per Smartmatic, la società incaricata il 25 luglio dalla Regione Lombardia di gestire la prima sperimentazione sostiene che il sistema è «a prova di hacker»: le soluzioni fornite da Smartmatic – fanno sapere dalla società – coniugano diversi livelli di sicurezza per garantire l’integrità del voto: crittografia, codici di sicurezza, firma digitali e chiavi asimmetriche, revisioni del codice sorgente e sistema a garanzia della segretezza del voto. Inoltre, il software usato è certificato dal ministero dell’Interno e al momento i tablet sono custoditi in località segrete.
 
Come funziona. L’elettore, una volta entrato in cabina si troverà di fronte uno schermo con le stesse identiche informazioni contenute nella vecchia scheda cartacea. Quindi potrà leggere il testo del quesito e pigiare un pulsante a sua scelta tra “Sì” e “No” o  “Scheda bianca” se non vuole esprimere una preferenza: «Toccando una delle tre caselle – ha spiegato Maroni – comparirà la croce con la possibilità di cambiare idea e toccare un’altra casella, poi la scritta toccando la scritta «Vota» sarà come aver depositato la scheda nell’urna. È previsto un sistema di sicurezza, che garantisce l’anonimato: non viene registrato il minuto in cui una persona vota, in modo che non si sappia come ha votato chi lo ha fatto in un determinato minuto». Spiega ancora Chiarion che «sono previste due rilevazioni, alle 12 e alle 19, affidate ai Comuni. Mentre il dato finale dell’affluenza abbiamo deciso di non affidarlo ai Comuni, anche per non caricare di lavoro il presidente di seggio e gli scrutatori, ma di comunicarlo in simultanea con il risultato definitivo del referendum: sarà più corretto e meno soggetto a errori». Alle 23 ogni presidente di seggio schiaccerà un pulsante e stamperà una scheda sulla quale ci sarà scritto in quanti hanno votato, il numero di “Sì”, di “No” e di “Schede bianche”. Terminate le operazioni di scrutinio, il personale dell’ufficio elettorale di sezione rimuoverà dall’apparecchio elettronico le memorie contenenti i voti in forma criptata che vengono inserite in una busta chiusa da depositare nella segreteria del comune assieme all’apparecchio elettronico. I comuni, appena ricevuta la busta con le memorie, provvederanno a riversare i dati al sistema informativo elettorale regionale.
 
Il risultato finale arriverà a due ore dalla chiusura dei seggi. A vigliare sul buon funzionamento ci saranno 7mila assistenti digitali che supporteranno il personale di seggio e 200 help desk.
 
 
Anche sulla SmartMatic piovono polemiche. Secondo una ricostruzione pubblicata sul sito di Possibile e riportata dal Fatto, il movimento guidato da Giuseppe Civati «la società che ha vinto la ricca gara d’appalto è il simbolo di un’opacità di cui solo Maroni sembra non essersi accorto. Stiamo parlando della stessa azienda che nel 2006 è finita nella lista nera degli Usa per il fiasco elettorale di Chicago (quando votarono addirittura i morti, come nella migliore tradizione cartacea) e il suo fondatore, Antonio Mugica, è accusato da tempo di essere stato vicino a Chavez e ai suoi eredi e di avere intenzionalmente manipolato le regole elettorali in Venezuela. Forse vale la pena ricordare anche che l’unica volta che Mugica ha concesso un controllo terzo dell’affidabilità dei suoi sistemi di voto (era il 23 novembre del 2005, in Venezuela, in presenza degli osservatori elettorali dell’Unione Europea e dell’Oas) è stato dimostrato come la segretezza del voto fosse gravemente compromessa».