Corriere della Sera, 17 ottobre 2017
Le onde gravitazionali cambiano il modo di osservare l’Universo. «Nuova astronomia»
Non sono passati neanche due anni dalla prima onda gravitazionale raccolta. La quinta, registrata il 17 agosto scorso dalle stazioni Ligo, negli Stati Uniti, e Virgo, a Cascina (Pisa), ha però travolto gli ultimi ostacoli per spiegare i fenomeni che l’hanno generata favorendo persino la nascita di materiali preziosi. La data segna anche la nascita dell’astrofisica non solo gravitazionale ma «multimessaggio», come l’hanno battezzata gli scienziati. «Il motivo è che questa volta a fondersi non sono stati due buchi neri come in passato, ma due stelle a neutroni e le conseguenze sono state diverse», spiega Federico Ferrini, dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare e direttore di Virgo, da Washington dove la National Science Foundation ha annunciato il grande risultato. Contemporaneamente questo è accaduto a Monaco di Baviera, Venezia e Roma con il ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca Valeria Fedeli, e i presidenti degli enti protagonisti, Roberto Battiston (Asi), Nichi D’Amico (Inaf), Fernando Ferroni (Infn).
Le due stelle a neutroni avevano una massa di 1,1 e 1,6 volte quella del nostro Sole. Queste si formano quando un astro molto grande (dieci volte il Sole) muore e la sua materia in parte sfugge nello spazio e in parte collassa creando un corpo celeste estremamente massiccio ma con un diametro di appena 20 chilometri. Il 17 agosto le due stelle, separate da appena 300 chilometri, hanno cominciato a roteare una intorno all’altra sempre più vorticosamente lanciando per 100 secondi un’onda gravitazionale. Dall’immane scontro è uscito un lampo di radiazione gamma raccolto dopo un paio di secondi dal satellite «Fermi» della Nasa, subito confermato dal satellite Integral dell’Esa. È scattata un’allerta che ha mobilitato 70 osservatori terrestri, tra cui il grande Very Large Telescope dell’organizzazione europea Eso, in Cile, e una flotta di altri satelliti della Nasa come Swift (a cui ha collaborato l’Asi), Chandra e l’ormai mitico telescopio spaziale Hubble.
Tutto è accaduto relativamente vicino, a 130 milioni di anni luce di distanza dalla Terra nella costellazione dell’Idra, alla periferia di un’altra galassia. In realtà tutto si è verificato 130 milioni di anni fa, perché tanto è il tempo impiegato dai segnali a raggiungerci alla velocità della luce. Per la prima volta gli osservatori terrestri e spaziali hanno raccolto assieme un fiume di onde elettromagnetiche in varie lunghezze d’onda: raggi X, ultravioletti, luce visibile, infrarossi e onde radio. Così l’identikit del mostro appena nato è risultato completo. Ma non è tutto. Dopo la fusione si è scatenato il fenomeno «kilonova» che ha lanciato nel cosmo con estrema violenza materiali di ogni genere dando luogo a processi di sintesi fra i nuclei atomici da cui sono scaturiti elementi pesanti come l’oro e il piombo.
«È stato straordinario seguire la fase di avvicinamento delle due stelle – nota soddisfatto Federico Ferrini – registrando le numerose oscillazioni frutto delle deformazioni dello spazio-tempo. Il segnale è stato abbastanza debole, ma le informazioni che ha portato erano forti e ci hanno raccontato aspetti che la fusione dei buchi neri non ci aveva rivelato». Tra le tante scoperte c’è stata l’ennesima conferma dell’idea fondamentale di Albert Einstein: anche le onde gravitazionali viaggiano alla velocità della luce.