Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 12 Giovedì calendario

Il duro mestiere del re di Spagna

Caro Aldo, 
ma che fa il nuovo re di Spagna? Perché è lì? Ci resterà? Vale il padre Juan Carlos?
Marco Serri, Milano

Caro Marco, 
Molti spagnoli erano più juancarlisti che monarchici. Il ritorno del re fu una soluzione studiata da Franco per mantenere la Spagna in un alveo autoritario. Il Caudillo sapeva che il franchismo moriva con lui, ma non credeva affatto alla democrazia liberale. Anzi, detestava il liberalismo quanto il comunismo, perché in entrambi vedeva i germi di un pensiero blasfemo che considerava contrario al carattere eterno della Spagna. Certo, la sua visione era reazionaria più che fascista, dirigista più che totalitaria. Mise la sordina agli elementi ideologici, diffidava della retorica proletaria di un Mussolini, non amava la mobilitazione del popolo in armi; l’esercito per lui era una cosa seria, e infatti si guardò dal gettarlo nella fornace della seconda guerra mondiale; in Russia andarono solo i volontari della Divisione Azul. Franco non governò con la Falange ma con i tecnocrati dell’Opus Dei; e dopo la fame degli Anni 40 anche la Spagna visse, sia pure meno dell’Italia, il suo sviluppo economico, mentre i ribelli continuavano a finire in carcere o alla garrota. Con la morte di Franco la situazione evolse in modo imprevisto sia da lui, sia dai suoi oppositori. La Spagna è diventata una democrazia liberale, con un re come garante. Ma pure gli antifranchisti hanno dovuto cambiare idee e linguaggio. Javier Solana quand’era in clandestinità faceva campagna contro la Nato; divenne ministro degli Esteri, poi segretario generale della Nato. I repubblicani si fecero piacere Juan Carlos. E lui si fece apprezzare quando tenne duro contro il tentativo di restaurare l’autoritarismo. 
Anche Juan Carlos ha vissuto il suo declino. Nel momento più nero della crisi economica andò a caccia di elefanti in Africa, per poi fare ammenda con il «discorso del re» più breve della storia: «Lo siento mucho. Me he equivocado. No volverá a ocurrir»; mi spiace molto, ho sbagliato, non succederà più. Lo scandalo dell’Infanta e del genero condannato alla galera ha fatto il resto. Juan Carlos ha abdicato finché Rajoy era saldo al potere. Ora tocca al figlio, «el niño rubio», il bambino biondo. Felipe VI è stato duro con la sorella, rimuovendola dalla linea di successione. Ha sposato una borghese, una giornalista. Sta modernizzando lo stile della monarchia. I critici dicono che il nuovo sovrano è solo bello. Altri che è solo alto (quasi due metri). I separatisti lo accusano di essere «il re del partito popolare». Ora sta a lui dimostrare che non è così.