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 2017  ottobre 12 Giovedì calendario

Perché Hollywood ha taciuto

Non tutti sapevano. Quando Meryl Streep ha preso le distanze da Harvey Weinstein – un uomo che, fino a qualche giorno fa, non solo considerava suo amico ma «Dio» —, l’attrice ha voluto precisare questo: non tutti sapevano. Ma se è plausibile credere che molti tra i conoscenti del produttore davvero non avessero contezza di come abusasse del suo potere, molestando giovani donne con quel fare disinvolto che solo anni e anni di impunità possono regalarti, è altrettanto logico ritenere che tanti altri invece sapessero, eccome, ma preferissero voltare la loro faccia – spesso famosissima – dall’altra parte.
Come sarebbero oggi le cose senza l’inchiesta del New York Times che ha svelato questo lato, molto meno scintillante, del potente produttore hollywoodiano? Probabilmente Weinstein, anziché ritrovarsi licenziato da una compagnia che porta il suo nome, questa mattina come tutte quelle della sua lunga carriera si sarebbe seduto alla sua scrivania. Certamente sarebbe ancora un uomo sposato (sua moglie lo ha lasciato ieri) e, con ogni probabilità, stimatissimo, anche da quei volti noti che adesso lo condannano.
Eppure, anche senza quella inchiesta, in tanti sapevano. E non potrebbe essere diversamente se per oltre trent’anni inviti decine di attrici e collaboratrici in stanze d’albergo in cui ti fai trovare nudo, se chiedi loro massaggi, coccole e bagni caldi, se per decenni prometti passaggi di carriera in cambio di attenzioni sessuali.
Trump, per dire, ha dichiarato di non esserne sorpreso. Eppure, fino a qualche giorno fa, tutti quelli che pure ne erano a conoscenza, avevano preferito fare finta di niente. Donne e uomini, come ha fatto presente anche Jessica Chastain invitando i media a chiedere un parere, soprattutto, a loro. Perché questa vicenda non riguarda solo chi ha subito le molestie. Non riguarda solo le donne.
Gwyneth Paltrow si è unita alle tante che hanno denunciato Weinstein. All’inizio della sua carriera, l’aveva invitata in camera sua per dei massaggi (un classico, si è poi capito). Lei aveva 22 anni, lui parecchi di più. Lei stava cercando una strada, lui aveva il potere di aiutarla. Lei, però, era anche fidanzata, con Brad Pitt, che pur avendo poi intimato al produttore di lasciarla in pace, pubblicamente non ha mai detto nulla. E così, al netto dell’indignazione dopo i coraggiosi racconti che ormai si moltiplicano, rendendo nota la vera immagine di un uomo che, a 65 anni compiuti, poteva invece plausibilmente pensare di essere riuscito a tenerla nascosta; il vero interrogativo riguarda i tanti che questa sua natura la conoscevano e che niente hanno fatto.
Un atteggiamento comprensibile o complice? Ora gli aggettivi per condannare Weinstein si sprecano: Clooney lo ha definito «indifendibile» e «disturbante», Hillary Clinton si è detta «scioccata», Barack e Michelle Obama hanno parlato di un comportamento «intollerabile». E il produttore aveva molto sostenuto le campagne elettorali di entrambi. Ma lo scandalo Weinstein sta facendo proprio questo: sta imponendo un imbarazzante esame di coscienza collettivo che dalle colline di Hollywood arriva fino al posto di lavoro di ciascuno di noi.
Perché è semplice dire oggi che Brad Pitt avrebbe dovuto denunciarlo o che sarebbe stato meglio se Angelina Jolie – oppure Mira Sorvino, Asia Argento, Rose McGowan, Cara Delevingne o una delle tante donne definite «eroine» per aver reso noto qualcosa di così intimo e doloroso – avesse raccontato prima la sua esperienza. Ma lo è molto meno pensare a quanti Weinstein, piccoli o grandi, conosciamo personalmente.
Voltare lo sguardo per fingere di non vedere è una tentazione a cui pochi sono immuni. Non solo nel mondo del cinema.