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 2017  ottobre 11 Mercoledì calendario

Egoisti e totalitari. L’indipendentismo si è nutrito di bugie. Intervista a Javier Marías

«L’ indipendentismo catalano è un movimento totalitario per non dire quasi fascista. Si nutre di bugie e nasce da esigenze egoistiche, sia tra i suoi sostenitori sia tra i dirigenti politici. Andiamo incontro a giorni pericolosi. Fisicamente e politicamente. E tutto questo grazie al signor Puigdemont e ai suoi amici».
Anche mentre parla del fuoco che brucia la Spagna, Javier Marías cerca la parola affilata, senza paura. Non ha cellulare, non risponde alle email, per carattere fugge dai riflettori, sceglie con puntiglio anche i premi letterari da accettare. Forse è per questo, solo per questo probabilmente, che non ha ancora vinto il Nobel per la Letteratura. Ama la parola scritta, non quella parlata. Le interviste sono un supplizio per il timore di essere frainteso o forse anche solo di veder imbruttita la sua prosa fatta di frasi lunghissime. Questa volta, però, rischia. Il momento è troppo importante per non far sentire anche la voce di uno dei più importanti scrittori di Spagna.
Marías, lei ha firmato tutti i manifesti degli intellettuali contro la «truffa del referendum» e contro la «dichiarazione d’indipendenza anti democratica». Non ha proprio alcuna simpatia per il secessionismo catalano?
«No, certamente no, perché dovrei? Una parte della popolazione catalana è sempre stata indipendentista, ma è una minoranza. Anche oggi è così».
Come facciamo a saperlo se non c’è stato un referendum legale?
«Lo sappiamo da tutte le votazioni con garanzie democratiche del passato. Persino due anni fa alle elezioni catalane si sono contati. Il blocco separatista aveva presentato il voto come un plebiscito pro o contro l’indipendenza e ha ottenuto il 48%. Nonostante ciò hanno detto di avere una “chiara” maggioranza per andare avanti con i loro propostiti. Se negano l’aritmetica, non si può parlare di nulla».
Perché dovrebbero essere obbligati a rimanere spagnoli?
«Essere indipendentista è una cosa legittima, ma questo blocco politico ha deciso che la gente che non è d’accordo con loro semplicemente non conta. Così si sfocia nella dittatura».
Nega anche il «diritto a decidere» con cui i secessionisti chiedevano un referendum legale?
«Questo è un altro trucco. La società catalana ha votato in 35-37 occasioni in questi decenni di democrazia: elezioni regionali, nazionali, europee in tutta libertà. Non si può accettare che una parte della popolazione decida di votare, poniamo, sulla reintroduzione della schiavitù. Non esiste un diritto assoluto a votare. Ci vuole una maggioranza che desideri esprimersi».
Che cosa deve fare ora lo Stato spagnolo?
«A un certo punto si dovrà far prevalere la legge, il diritto e la democrazia. Tutto ciò che stanno facendo è anti democratico. Lo stesso Parlamento catalano ha annichilito lo Statuto di autonomia pur di mandare avanti la secessione».
Si arriverà alle manette?
«Se il governo decidesse di arrestare Puigdemont in base alle leggi vigenti e se questo scatenasse una sorta di insurrezione popolare, certo sarebbe grave. Protesterebbero le frange più fanatiche, ma comunque centinaia di migliaia di persone. Il mio desiderio è che non ci sia violenza».
Come si spiega l’insofferenza di una regione tanto ricca?
«Sono ridicoli quando parlano di popolo oppresso e umiliato, è un insulto per chi davvero soffre. Per quanto mi consti, non ci sono altre aree del continente che abbiano un grado di autogoverno comparabile. Anche la lingua catalana è protetta, ha avuto tanti problemi con Franco, ma è finito quarant’anni fa».
Nessuna ragione, quindi?
«Il motore principale mi pare il calcolo politico dei dirigenti. C’è stata grande corruzione in Spagna e anche i politici catalani sono finiti sotto accusa. Un modo per evitare la galera è di fare una Repubblica dove la magistratura e la stampa gli saranno favorevoli. È un’ipotesi azzardata, lo so».
Eppure a Barcellona si vive l’entusiasmo di costruire un Paese «più giusto» rispetto a una Spagna autoritaria.
«Non è vero, da sei anni la Spagna ha un governo di destra che a me non piace per nulla, ma non è autoritario. E se anche fosse come dicono, non sarebbe una ragione sufficiente. Per otto anni abbiamo avuto con Aznar un esecutivo uguale o peggiore dell’attuale, ma tra Aznar e Rajoy abbiamo anche avuto otto anni di Zapatero che non era affatto autoritario. È la democrazia, si vota e si cambia».
Le tasse che chiede Madrid, però, sono tante.
«Lo dice anche la Lega Nord in Italia vero? Sono movimenti non solidali, pensano che Roma o Madrid li derubi. Ma il problema è impostato in malo modo. Il contributo di Barcellona al bilancio del Paese è alto perché è prospera, ma più tasse ancora arrivano da Madrid perché più ricca. Per tutti vale il principio di solidarietà che questa gente non è più disposta a condividere».
Si stanno ripercorrendo i passi della Guerra Civile?
«Spero di no. Per ora insulti e offese sono arrivati solo da parte dei catalani verso gli spagnoli e non viceversa. Nell’ultima settimana, però, sono uscite tantissime bandiere spagnole sui balconi. Un aneddoto, forse, ma brutto. Se il nazionalismo spagnolo si svegliasse sarebbe pericoloso. E bisognerebbe ringraziare il signor Puigdemont».