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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

La lunga attesa dell’auto elettrica. Nei prossimi due anni appena 9 modelli in vendita

FRANCOFORTE Auto elettriche a manciate, da realizzare con investimenti da capogiro: questo il messaggio lanciato in maniera più o meno unanime dai grandi dell’automobile al salone di Francoforte, che ha chiuso i battenti ieri. Basti per tutti il roboante annuncio della Volkswagen, che ha promesso di mettere sul piatto qualcosa come 20 miliardi di euro per dar vita a 50 elettriche e 30 ibride in meno di dieci anni. Peccato che dietro le spettacolari concept car che popolavano gli stand, a partire proprio da quelli dei costruttori di casa, al momento ci sia ben poco: di qui alla fine dell’anno non è previsto il debutto di neppure un’elettrica. E quelle che si apprestano a entrare in scena nel 2018 si contano sulle dita d’una mano: l’Opel Ampera-e, la seconda generazione della Nissan Leaf, l’Audi e-tron Quattro, la Jaguar I Pace. Né andrà molto meglio, per quel che se ne sa, l’anno successivo, quando sono annunciate la Mini EV, una piccola Honda, una compatta Volvo e un altro paio di proposte firmate ancora da Audi e Nissan. Un po’ poco insomma per parlare di rivoluzione imminente anche perché, con poche eccezioni, trattasi di modelli destinati alla fascia alta del mercato: là dove (Tesla docet) risulta più agevole far digerire ai clienti l’extra costo delle preziose batterie al litio, tuttora stimato fra i 5 e i 10 mila euro. Inutile girarci attorno: prima ancora della difficoltà nel trovare punti di ricarica, prima ancora degli innegabili limiti di autonomia, a frenare la voglia di elettriche è soprattutto una differenza di prezzo inaccettabile, tanto per i privati quanto per le aziende. Valga per tutti l’esempio della Golf-e, in vendita a 40 mila euro, contro i 20-25 mila della versioni dotate di motore convenzionale, oltretutto capaci di ben altre prestazioni. Insomma, al momento per far decollare il mercato servirebbero incentivi, di quelli robusti e soprattutto non temporanei. Altrimenti si corre il rischio di rivivere il rapido riflusso già sperimentato in qualche parte del mondo: per esempio in Georgia, uno dei pochi stati americani a seguire la “linea verde” della California, dove l’eliminazione dei 5 mila dollari di bonus statale (in aggiunta ai 7.500 previsti a livello federale) ha portato da un giorno all’altro a un crollo verticale delle vendite di auto elettriche. E per restare più vicini a casa nostra, altrettanto è successo in Olanda, nel momento in cui sono terminati gli incentivi per le ibride. Non di meno, l’impressione ricavata a Francoforte è che questa volta i costruttori di credano davvero. Che da scelta tattica utilizzata per abbassare la media delle emissioni di CO2 come imposto dall’Unione europea, la strada dell’elettrico sia finalmente vista come soluzione strategica, sia pure con i tempi lunghi che contraddistinguono il mondo dell’auto: se servono 36 mesi (almeno) per mandare in strada un nuovo prodotto di stampo convenzionale, non si può immaginare che ne bastino meno per mettere in campo vetture nuove da cima a fondo, a partire dal motore. Tempi lunghi, insomma, anche per quelle Case, come Volvo e Jaguar, che hanno sbandierato la decisione di elettrificare l’intera gamma nel giro di un paio d’anni. Senza specificare che nella maggior parte dei casi non si va oltre l’adozione del cosiddetto mild hybrid: un modulo a 48 Volt dai costi relativamente contenuti, nell’ordine del migliaio di euro, capace di dare un aiutino elettrico ai motori convenzionali. I quali, così attrezzati, consumano meno ma soprattutto riesco- no agevolmente a far fronte all’inasprimento dei limiti per le emissioni previsto per il prossimo decennio. Solo allora, diciamo attorno al 2020, si potrà avere una prima verifica sull’effettiva consistenza dell’annunciata svolta epocale, a partire dal debutto delle piattaforme dedicate alle elettriche da Mercedes e Volkswagen, tanto per citare solo un paio di esempi. Mentre la Bmw, che ha già in campo una compatta nata “alternativa” qual è la i3, pianifica l’ampliamento dell’offerta anche tramite versioni “EV” di modelli esistenti, dalla già citata Mini alla Suv X3. Dopo di che, si potrà capire se davvero, come ipotizzano in molti, di qui a una decina d’anni almeno un cliente su tre sarà disposto a compiere il grande salto. A condizione, ovviamente, che nel frattempo abbia visto la luce un sistema capillare di punti di ricarica. E che l’industria europea si sia attrezzata per produrre batterie a costi dimezzati (rispetto ai 2/300 euro per kWh indicati dalle stime attuali) e soprattutto in volumi adeguati: oggi come oggi, svoltare rapidamente verso l’elettrico vorrebbe dire consegnare l’intero business nelle mani dei cinesi, gli unici al momento in condizione di sfornare accumulatori in grande quantità, oltre che leader nella relativa tecnologia, contrastati in qualche misura soltanto da coreani e giapponesi. Ancora, c’è la necessità di far bene i conti su come e dove produrre i miliardi di kWh necessari pe ricaricare più o meno quotidianamente il circolante europeo. E per finire, dettaglio tutt’altro che trascurabile, non va dimenticato che i governi europei, quello italiano in testa, portano a casa decine di miliardi dalle famigerate accise che gravano sul prezzo dei carburanti: dove andranno a recuperarli, nel momento in cui il consumo di benzina e gasolio dovesse effettivamente crollare? Tutti sulla bolletta della luce?