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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

La matematica dei capolavori. Dall’antichità alla Silicon Valley, l’arte è sempre stata legata ai numeri

Che ci possano essere interazioni fra la matematica e l’informatica è pacifico: se non altro, perché l’ultima è nata da una costola della prima, in un Paradiso Terrestre a immagine e somiglianza della Silicon Valley. Ma che due discipline scientifiche possano avere qualcosa a che fare con l’umanesimo, in generale, e con l’arte, in particolare, è forse un’affermazione che richiede una giustificazione. Il miglior modo per giustificarla sta nel ripercorrere brevemente il cammino filogenetico del ménage à trois tra arte, matematica e informatica, che si può riassumere in tre periodi: l’Era Antica dell’ontologia matematica, in cui si usano come soggetti artistici gli oggetti matematici; l’Era Moderna dell’estetica matematica, in cui si usano come strutture artistiche i concetti matematici; e l’Era Contemporanea della tecnica informatica, in cui si usano come strumenti artistici i programmi e i computer.
L’Era Antica corrisponde a un livello superficiale di interazione, nel quale gli oggetti matematici affiorano direttamente sulle tele pittoriche. L’esempio archetipico e universale sono i poligoni, che ritroviamo dai primordi dell’arte alla modernità: dagli intricati yantra indiani, che costituiscono una controparte geometrica dei più noti mantra vocali, ai quadri astratti del Bauhaus di Kandinskij, del De Stijl di Mondrian e del suprematismo di Malevich. Altrettanto archetipico e universale, ed evoluzione diretta del precedente, è l’esempio dei solidi. Benché i cinque solidi regolari (tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro) vengano di solito chiamati “platonici”, in realtà erano già stati rappresentati artisticamente in pietre lavorate fin dal Neolitico. E alcuni dei monumenti più noti dell’umanità, dalla Piramide di Cheope a Giza alla Kaaba della Mecca, hanno forme solide più o meno regolari, quali il semiottaedro o il cubo.
I solidi hanno esercitato un’attrazione formidabile sugli artisti di ogni tempo e luogo. Leonardo da Vinci ne ha illustrati magnificamente sessanta, in forma sia scheletrica che piena, per il trattato Sulla Divina Proporzione di Luca Pacioli (1497), inaugurando un modo di rappresentazione che ha ispirato i posteri, dalle fantasmagoriche Stelle (1948) del razionalista Maurits Escher a L’ultima cena (1955) del surrealista Salvador Dalí. Il quale ha addirittura trasceso la terza dimensione e si è spinto nella quarta, raffigurando il dispiegamento di un ipercubo nella Crocifissione (1954). Ma l’ispirazione artistica non si è fermata alla geometria euclidea. Ad esempio, Leonardo e Albrecht Dürer hanno anticipato artisticamente di secoli il recente studio matematico dei nodi, mentre Escher e Max Bill hanno mostrato in varie litografie e sculture il fascino che il nastro di Möbius (1858) ha esercitato su di loro.
L’Era Moderna corrisponde a un livello profondo di penetrazione, nel quale le strutture matematiche diventano l’ossatura delle opere artistiche. Spesso questo livello è difficilmente accessibile, perché alcuni artisti lo tengono nascosto, o non si preoccupano di esibirlo. Cosa che, d’altronde, fanno anche alcuni matematici: ad esempio, quando Niels Abel gli contestò di essere come una volpe, che cancella le proprie orme con la coda, Carl Gauss rispose che anche gli architetti rimuovono le impalcature dopo aver terminato la costruzione, la quale deve rimanere in piedi anche senza di esse. A volte comunque l’artista può lasciare indizi, o fornire spiegazioni a richiesta. È il caso del solito Dalí, che nella Leda atomica (1949) suggerisce implicitamente l’esistenza di qualche aspetto geometrico recondito, disegnando una squadretta sospesa a mezz’aria. E nel trattato Cinquanta segreti magici per dipingere (1948) mostra esplicitamente la struttura sottostante della composizione, basata su una stella pitagorica inserita in un pentagono regolare inscritto in un cerchio.
Altre volte l’artista tace, lasciando lo spettatore perplesso. È il caso di Édouard Manet, il cui Bar delle Folies- Bergère (1882) è stato a lungo considerato come una lampante serie di errori prospettici, per l’apparente impossibilità di conciliare le posizioni dei soggetti e degli oggetti con le loro immagini riflesse nello specchio. Ma nel 2001, in una tesi di dottorato, uno studente d’arte ha scoperto che in realtà la scena non è osservata di fronte, ma di lato, da un punto di vista inaspettato, astuto e ingegnoso. La sezione aurea di Dalí e la prospettiva eccentrica di Manet sono due strutture matematiche piuttosto comuni, spesso usate nel corso della storia dell’arte, ma a volte anche artisti di formazione non matematica possono arrivare a livelli di sofisticazione elevati. Il solito Escher, ad esempio, ha sfruttato un modello del piano iperbolico, scoperto da Eugenio Beltrami nel 1865, per fornire in Limite del cerchio III (1959) la miglior rappresentazione artistica della geometria non-euclidea, pur rimanendo su un apparente piano figurativo ed estetico.
L’Era Contemporanea corrisponde infine a una rivoluzione tecnologica che, da un lato, ha sostituito gli strumenti artistici tradizionali, quali i pennelli, le tavolozze e le tele, con gli strumenti informatici moderni, quali i programmi, i pixel e gli schermi. E, dall’altro lato, ha ampliato le limitazioni finitistiche dell’elaborazione manuale con le potenzialità infinitistiche dell’elaborazione computerizzata. Nel campo dei solidi, ad esempio, già verso il 1430 Paolo Uccello aveva timidamente rappresentato un artistico dodecaedro stellato sul pavimento della basilica di San Marco a Venezia. Per andare oltre si è appunto dovuto attendere la grafica computerizzata, con la quale si possono oggi ottenere e visualizzare senza sforzo solidi una volta impensabili, quali l’intersezione di 100 dodecaedri. Il computer ha anche portato una rivoluzione nell’ambito della visualizzazioni di figure autosimili, o frattali, che pure erano note da tempo. Già nel Medioevo si era trovato il triangolo di Sierpinski (descritto solo nel 1915), le cui prime approssimazioni erano state sfruttate dai marmorari della famiglia Cosmati nel centro Italia. E già Hokusai e Dalí avevano suggerito procedimenti iterativi in opere come La grande onda (1832) e Il volto della guerra (1941).
Oggi l’arte moderna e la computer art sono diventate indistinguibili. Da un lato, i quadri astratti dipinti da Jackson Pollock con la tecnica dello sgocciolamento si possono datare precisamente, in base alla loro concreta dimensione frattale. Dall’altro lato, le immagini artificiali prodotte da Ken Musgrave mediante la tecnica della programmazione sono risultate indistinguibili dalle fotografie naturali, fin dal primo corso sui frattali tenuto a Yale nel 1993. La computer art è ormai un ingrediente indispensabile della modernità, dalla cinematografia all’architettura, e le sue opere vengono ormai esibite nei musei e nelle mostre, che attraverso i percorsi individuali e contemporanei degli artisti moderni ripercorrono le tappe di una storia collettiva e millenaria.