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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

Patrimonio collettivo. Più forti, amati e attenti all’ambiente: fotografia di un paese

Quando l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon venne in visita alla Camera, in occasione di Expo 2015, si sistemò il colletto della camicia, si schiarì la voce e disse una cosa molto profonda: «Quando indosso una cravatta italiana, mi sembra che mia moglie mi voglia più bene». 
Captatio benevolentiae a parte, è proprio una questione di «nodi» affettivi: buona parte della nostra capacità di generare attrattiva nasce da un sentimento, via via più definito. Che non è solo l’ottundimento davanti al tramonto sopra al Vesuvio o l’Enrosadira sulle Dolomiti. No, si tratta di un bizzarro senso di appartenenza universale, come se il nostro Paese fosse di tutti: degli inglesi che oggi ristrutturano le ville in Toscana o dei tedeschi che comprano castelli in Sicilia e in Campania. Dei giornalisti americani che danno lezioni alla nostra Pubblica amministrazione con un malcelato senso di sgomento davanti a un tale ben di Dio non valorizzato e dei politici italiani, fabbricatori di frasi come «l’interesse del Paese».
Meglio di tutti però lo ha detto il polacco Henryk Sienkiewicz, Nobel per la Letteratura, scomparso nel 2016: «Io credo che ogni uomo abbia due patrie; l’una è la sua personale, più vicina, e l’altra è l’Italia». Questa citazione compare nel ricco rapporto I.T.A.L.I.A., alla sua terza edizione, realizzato da Fondazione Edison, Fondazione Symbola e Unioncamere (e diffuso con l’importante contributo di Enel). Analisi biennale che, come spiega Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, «non è fatta solo di cifre, riferimenti al Pil o alla produttività. Il vero valore del nostro Paese è la bravura nell’unire competenze e cuore». 
Ma i numeri servono: nel triennio 2014-2016 le esportazioni italiane sono cresciute di 26,7 miliardi di euro, mentre – come rileva l’indagine Ipsos che apre il rapporto – il nostro Paese è terzo su 19, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, per livello di notorietà tra gli intervistati in tutto il mondo. La bilancia commerciale italiana ha toccato nel 2016 un nuovo surplus record con l’estero, raggiungendo i 51,6 miliardi e al tempo stesso le nostre aziende hanno incrementato la scommessa sulla green economy (lo hanno fatto oltre 385 mila compagnie durante la crisi).
Ma attenzione: non si tratta di edificare una illusoria visione ottimistica delle cose. Si tratta di dosare lo sguardo. «Sappiamo bene che siamo un Paese dove la corruzione è altissima e dove la burocrazia strozza tante iniziative – prosegue Realacci – ma non per questo non va ricordato che sale, rispetto alla precedente edizione, la posizione italiana in termini di spesa in ricerca, passando dall’ottavo al settimo posto dei Paesi OCSE». 
Forse però dovremmo imparare a guardarci meglio allo specchio. Il nostro sguardo a volte oscilla tra una fiducia inopportuna che sconfina nel campanilismo e una visione eccessivamente pessimistica sulle nostre capacità. 
Due esempi: gli altri europei nutrono dubbi sul nostro sistema formativo, «che appare meno efficace nel preparare al mondo del lavoro e poco aperto all’internazionalità», mentre, nel sondaggio Ipsos (condotto su un campione di 10.100 persone dai principali Paesi del mondo) gli italiani mostrano più fiducia verso la nostra scuola. Dall’altra parte, però, continua Realacci, «l’Italia è una delle Nazioni al mondo in cui è maggiore la forbice tra percezione interna, spesso negativa, e percezione esterna, il più delle volte positiva». 
Eppure qualcosa cambia anche nel nostro approccio agli altri Paesi. Per esempio dalle cifre sull’economia, si vede che stiamo competendo con i tedeschi sempre più direttamente sul loro terreno, nei settori più complessi e hi-tech, e non solo con i tradizionali punti di forza, cioè moda, mobili, alimentari e vini. 
E la Fondazione Edison nota che l’Italia è fra i 5 Paesi in Europa (i 19 dell’Eurozona più il Regno Unito) plurispecializzati, cioè in surplus nella «meccanica e nei mezzi di trasporto». E scommettiamo sempre di più sulla cura dei prodotti: su circa 327 mila aziende biologiche in tutta Europa, nel nostro Paese ce ne sono 60 mila – in Francia 42 mila. 
Certo, ci sono poi i musei, le piazze, i tessuti, il mare, la pizza. E i numeri eccezionali raggiunti dal settore turistico nel 2017 (tra giugno, luglio e agosto gli stabilimenti balneari hanno rilevato 90 milioni di presenze, un incremento degli turisti del 5% sull’anno prima). Ma quello che il rapporto di Symbola vuole alimentare è più complesso e sottile: «Una fiducia che parta dal basso, la consapevolezza che questo Paese ci appartiene e che noi tutti possiamo fare qualcosa», conclude Realacci. E Symbola si prepara al Festival di Pubblica Utilità, previsto il 20 ottobre a Imola, una specie di «chiamata a raccolta» verso tutti quelli che si sentono come la moglie di Ban: sentono di voler più bene a chi si mette addosso un pezzetto d’Italia.