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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

«La lezione all’Italia? Serve l’alternanza non le grandi coalizioni». Intervista a Walter Veltroni

Walter Veltroni, non doveva essere l’anno della sconfitta del populismo e del riscatto dell’Europa? L’avanzata dell’estrema destra e la frammentazione del voto tedesco va nella direzione opposta.
«Non ho mai partecipato a questo entusiasmo successivo alle elezioni francesi. Certo, anch’io ho visto la vittoria di Macron come un fatto positivo. Ma credo che chiunque abbia il senso della storia non consideri ovvio che un elettore francese su tre abbia votato per la signora Le Pen. Ancora meno ovvio è oggi che, in un Paese come la Germania, arrivi al Bundestag con oltre 90 parlamentari un partito il cui leader ha detto che non c’è da vergognarsi di quello che i soldati tedeschi hanno fatto nelle due guerre mondiali. Il populismo non è dietro le nostre spalle. Anche se questo non è solo populismo, ma qualcosa di diverso e di più».
Cosa?
«Una soluzione semplificatoria e discriminatoria. Una reazione alla globalizzazione e alla crisi lunghissima dell’Occidente, che sta determinando uno scarto sia sul terreno democratico sia su quello culturale e antropologico: l’accettazione dell’altro in qualsiasi forma, il colore della pelle, la religione, le opinioni politiche. Il voto a AfD, come quello per Le Pen, porta questo segno».
Cosa cambia ora per l’Europa e per l’Italia, secondo lei?
«In Germania sarà complicato fare il governo, considerata la differenza proprio sul tema europeo tra liberali e verdi. Il peso dei liberali rischia, insieme con l’esito elettorale della Merkel, di spingere la Germania su posizioni ancora più dure in difesa del rigore e dei propri interessi».
Come valuta il risultato della Cancelliera?
«Brillante, se si pensa che in un tempo in cui chi governa viene sempre messo da parte Angela Merkel conferma per la quarta volta il suo mandato: una dimostrazione di forza e autorevolezza per il più grande leader europeo. Ma ha pur sempre perso l’8%. Sia la spinta interna al suo partito, sia la sostituzione dell’Spd con i liberali inasprirà le posizione tedesche».
Quindi l’Europa e l’Italia sono attese da una stagione difficile?
«Temo di sì. Anche la Francia di Macron è molto proiettata sulla difesa dei propri interessi. Il paradosso della globalizzazione per me è racchiuso nel discorso all’Onu di Trump, che va a dire alle Nazioni Unite “America first”. Questo paradosso, in modo più elegante, si va diffondendo. E la colpa è dell’Europa: un aereo costruito per metà, cui si sono scordati di mettere il motore e la cloche; ma senza il motore e la cloche l’aereo non parte. Finché l’Europa non apparirà come quella che doveva essere, la grande speranza di un mercato ampio e l’occasione di ricchezza diffusa, si determineranno nuovi localismi, come conferma la gravissima crisi della Catalogna, dove il separatismo incrocia la crisi delle istituzioni democratiche. Ci attende una fase di grande difficoltà. Mi auguro solo, come chi guarda la politica dalla giusta distanza, che l’Italia non vi arrivi in condizioni di fragilità politica. Che dopo le elezioni ci sia un governo, spero un governo di centrosinistra, ma un governo. La cosa peggiore in questa Europa è l’instabilità. Non credo ci verrà perdonata».
Quale lezione dovrebbe trarre la sinistra italiana?
«La Germania dimostra come la democrazia moderna abbia bisogno di alternanza, non di grandi coalizioni. La crisi del sistema democratico aumenta il bisogno di chiarezza, di velocità: e le grandi coalizioni non hanno queste caratteristiche. Il primo consiglio che darei alla sinistra italiana è favorire il più possibile la democrazia bipolare, la nettezza dell’identità, l’alternanza: chi vince governa, chi perde si prepara a sostituirlo».
E il secondo consiglio?
«Il secondo e più importante è dare una risposta alla condizione più drammatica e ansiogena dell’esistenza umana: la precarietà. La sinistra ci sta mettendo troppo tempo a dare una risposta. È rimasta affascinata dal totem della globalizzazione, senza capire che bisogna armonizzare le nuove condizioni di lavoro con il bisogno di stabilità insito nella stessa esistenza umana».
I socialdemocratici sono al minimo storico. L’ennesimo segno di una crisi generalizzata.
«Purtroppo anche questa non è una sorpresa. Francia, Spagna, Germania confermano la grande difficoltà del socialismo europeo. Per fortuna l’Italia dieci anni fa ha fatto la scelta coraggiosa del Partito democratico. Ma la difficoltà riguarda tutta la sinistra, non solo in Europa: ricordiamoci di Trump».
Perché la sinistra cede terreno ovunque, proprio mentre si affermano temi sociali?
«Perché fatica a portare i suoi valori dentro una società organizzata e strutturata come la nostra. L’Spd ha pagato un prezzo molto alto alla grande coalizione. Ora si prepara a una stagione di opposizione che ne rigenererà idee ed energie. Più in generale, quando la paura ha prevalso sulla speranza, il mondo è sempre andato a destra. Oggi il mix tra stagnazione interminabile, crisi istituzionali, mutamento radicale delle forme produttive, delle classi sociali, dei meccanismi antropologici della relazioni tra gli uomini ha aperto un’epoca totalmente nuova. Come quando la rivoluzione industriale produsse le metropoli, le fabbriche, i partiti. Ora la civiltà che abbiamo conosciuto si sta scomponendo. Quella rivoluzione unificava; questa parcellizza. La sinistra non riesce a trovare le chiavi: oscilla tra nostalgia novecentesca, che ogni elezione si incarica di giustiziare visto che partiti come la Linke non vanno mai sopra il 10%, e cancellazione della propria identità. Resto convinto che il tentativo più alto di interpretare la modernità in coerenza con il nostro sistema di valori sia stato quello di Obama».
In un’intervista al Corriere un anno fa lei disse di vedere rischi per la democrazia rappresentativa. Il voto tedesco rappresenta un ulteriore segnale?
«La democrazia nel corso della storia umana è stata un’esperienza brevissima. Nel 900 per arrivarci abbiamo attraversato bagni di sangue. Pensavamo dopo l’89 che fosse la condizione naturale di governo della collettività umana dopo la riconquista della libertà. Ora, dopo la più lunga recessione degli ultimi due secoli, è tale il bisogno di risposta e di decisione, sono tali le minace che un cittadino moderno sente nella sua esistenza, che il rischio che si crei una disponibilità di massa a barattare la libertà con la decisione è molto elevato. Questo è il segno comune alle diverse forme di populismo».
In Germania si afferma un partito non anti-nazista. In Italia le manifestazioni neofasciste sono un pericolo o sono folklore?
«Non sono folklore. Questo sentimento non ha trovato una leadership, ma è molto diffuso, molto più di quanto la politica sia in grado di percepire. Si esprime sia in forme nostalgiche, che esistono, sia in forme presentate come nuove: il contrasto all’immigrato, il “facciamo da noi”, il “basta con l’Europa”. Tutto questo alimenta le basi per una possibile sollecitazione di destra estrema, che bisogna tenere d’occhio. Tutte le forze, anche il centrodestra e i 5 Stelle, dovrebbero avere un’attenzione a questo rischio».