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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

Basta contanti! I soldi fisici in circolazione sono troppi: gestirli costa e favoriscono l’evasione

L’idea di far emergere con una sanatoria, o qualcosa di simile, il contante nascosto al Fisco è rilanciata con puntualità regolare. E respinta con immediata fermezza. Ora tutto si può dire di questo e del precedente governo meno che sia complice recidivo di evasori e delinquenti. La proposta abbozzata lo scorso anno, in sede di elaborazione della legge di bilancio, di una tassa forfettaria del 35% era però grossolana e affrettata. Venne definita legge Salva Corona dal nome del celebre personaggio delle cronache rosa che, fra le tante sue non memorabili gesta, aveva occultato un po’ di banconote in un controsoffitto. Così, per dichiararle solo a se stesso. E per fortuna di quel condono malamente concepito non si fece nulla. 
Nei giorni scorsi è apparsa l’indiscrezione che un provvedimento analogo sarebbe allo studio del ministero dell’Economia e potrebbe essere parte di un decreto fiscale di accompagnamento alla manovra. Uguale reazione, pronta smentita. Ma i tecnici continuano a lavorarci. 
Ora ci sarebbe da chiedersi perché provvedimenti che favoriscono l’uso del contante – come quello che nel 2015 aveva innalzato il limite a 3 mila euro, in netta controtendenza con il resto dei Paesi più evoluti – non abbiano suscitato, al di là di qualche polemica, reazioni analoghe. Se si allargano le maglie, vi è una porzione di operatori che trae sollievo per la libertà ritrovata. Si presume poi che la misura stimoli i consumi. Ma si chiude benevolmente un occhio sul fatto che gli spazi per evadere e riciclare, sia pure di poco, si ampliano. 
Diseducazione 
Dell’effetto diseducativo, poi, non parla nessuno. Se in alcuni Paesi del Nord è diventato quasi impossibile pagare in contanti e ci si avvia a sperimentare forme diverse di monete digitali, è circostanza che va meditata. E non a caso quelle comunità sono tra le più trasparenti e meno corrotte del pianeta. Il grado di resistenza all’impiego delle carte di credito e dei Pos che peraltro dovrebbero essere obbligatori (in Italia ce ne sono due milioni, ma spesso rimangono inattivi) trova giustificazioni risibili. Non suscita alcuna reazione indignata. A volte solo passiva comprensione. Il cartello che esclude le carte di credito, l’esercizio che le rifiuta al di sotto di una certa cifra, sono ulteriori dimostrazioni della scarsa predisposizione italiana alla tracciabilità dei pagamenti. La fisicità del possesso è, in certi casi, irresistibile. Eppure chi tira fuori un malloppo di contanti, tenuti insieme dall’elastico, non appare ai nostri occhi né elegante né tantomeno affidabile. 
Il governo si sta orientando a penalizzare chi non accetta pagamenti con moneta elettronica, facendo riferimento per la prima volta all’articolo 693 del Codice penale. «Chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato è condannato a una sanzione amministrativa fino a trenta euro». L’orientamento è quello di inserire la disposizione nel decreto che recepisce la Payment services directive (Psd2) europea che peraltro riduce le commissioni interbancarie allo 0,3% per le carte di credito e allo 0,2 per i Bancomat. Crediti d’imposta, deduzioni o detrazioni, potrebbero essere legati all’uso esclusivo di pagamenti digitali. L’obbligo di fatturazione elettronica va in questa direzione. Nel 2019 dovrebbe poi essere lanciata la cosiddetta «lotteria dello scontrino», sperimentata con successo in altri Paesi, come il Portogallo. Con i premi, per chi non usa il contante, opportunamente maggiorati. E l’ avvento di un documento unico per superare la differenza tra fattura e ricevuta. 
Il prossimo 2 ottobre scade la voluntary disclosure bis, per il rientro di capitali dall’estero, estesa anche al contante. Una misura che non ha avuto il successo sperato e non ha sollevato – neppure nella prima e più robusta versione – particolari opposizioni. In epoche ormai lontane, gli scudi fiscali che avevano caratteristiche di condono assai più pronunciate, sono passati via lisci. La sanatoria estera passi, quella interna provoca più indignazione. 
Prima o poi però, ragionando in concreto, qualche provvedimento di emersione del contante sarà necessario prenderlo. Il fenomeno ha dimensioni incredibili. Secondo la Banca d’Italia si tratterebbe di una somma che si avvicina ai 200 miliardi. Lo ha ricordato nei giorni scorsi un personaggio insospettabile e grande esperto di questioni finanziarie come il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, da tempo favorevole a misure di recupero. Con un atteggiamento che lui stesso definisce laico. Ovvero applicare un’aliquota fiscale adeguata su una parte della somma emersa. Obbligare poi il dichiarante a vincolare per un certo periodo la restante parte in titoli di Stato, preferibilmente infruttiferi, con destinazioni di pubblica utilità. 
Un quaderno di studio della Banca d’Italia sull’antiriciclaggio, aggiornato nel 2016, spiega che in Italia le banconote da 500 euro costituiscono un terzo del valore totale del circolante, benché la gran parte dei cittadini non ne abbia mai avuta una per le mani. Secondo una stima di fonte inglese, richiamata da Bankitalia, la criminalità controllerebbe il 90% del circolante in tagli da 500 euro. Le preoccupazioni di non favorire forme di riciclaggio, oltre ai falsi, sono alla base della decisione della Banca centrale europea di non stampare più quelle banconote dal 2018. 
Scelte pragmatiche 
L’ampiezza del fenomeno richiede analisi accurate e un certo pragmatismo di fondo. Un’attività antiriciclaggio inflessibile ma anche l’obiettivo di recuperare alla legalità, con sanzioni significative, i capitali evasi al Fisco. O quelli che Banca d’Italia cataloga sotto l’effetto Lehman, cioè la paura delle crisi finanziarie. Per non parlare dei timori di rottura dell’euro. Lo spettro del ritorno alla lira, oggi fortunatamente molto attenuato, e i tassi zero o negativi hanno ingrossato le file dei detentori di contante. Ecco perché misure di emersione o di rientro saranno prima o poi ineludibili. Anche per separare le attività più criminali, da perseguire con ancora più fermezza, dall’infedeltà fiscale o dalla semplice difesa dei «soldi sotto il materasso». 
La recente approvazione di alcuni decreti attuativi della legge delega sul terzo settore offre qualche strumento in più. Per esempio, prevedere l’obbligo, per chi decide di uscire dal nero, di versare una percentuale significativa della somma, oltre al pagamento di una tassa forfettaria, in favore di un’associazione di volontariato. Oppure alla Fondazione Italia Sociale, prevista dalla legge delega, che sarà impegnata in grandi progetti d’importanza nazionale, come per esempio la manutenzione del territorio. 
Insomma, quella grande fetta di patrimonio, detenuta in cassette di sicurezza in Italia o all’estero, prima o poi va fatta emergere. A beneficio di tutti, soprattutto per il sostegno di programmi di solidarietà. Anche facendo qualche sconto. Prima lo si fa meglio è.