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 2017  settembre 25 Lunedì calendario

Nella tana degli estremisti che urlano slogan anti-migranti: «Ci riprenderemo la Germania». A Dresda tra giovani neonazi e nuovi patrioti: l’islam non è tedesco

«Siamo nel Bundestag, cambieremo questo Paese, ci riprenderemo il nostro popolo», ha dichiarato alle telecamere il candidato di punta dell’AfD, Alexander Gauland subito dopo i primi risultati del voto tedesco, che hanno visto il suo partito diventare la terza forza politica della Germania. Alice Weidel, al suo fianco nel palco berlinese, ha preso la parola per ringraziare gli elettori e dichiarare che insieme faranno «un’opposizione costruttiva e ragionevole», due parole che le sono subito valse qualche fischio dalla platea raccolta nella capitale. Ma non avranno il suo volto, né i suoi modi, né la sua storia – 38enne, lesbica, madre di due figli, compagna di una cittadina svizzera originaria dello Sri Lanka e datrice di lavoro ad una richiedente asilo siriana – i parlamentari AfD che sbarcheranno al parlamento con i consensi raccolti nella grande e rabbiosa provincia tedesca. Avranno invece quello di Jens Meier, avvocato di Dresda, che ieri notte ha festeggiato il risultato elettorale in una Gasthof a venti chilometri dal centro, davanti a un’autorimessa, in un quartiere popolare di case basse e umori avvelenati.
«Hanno scelto di venire qui perché avevano paura di essere attaccati dalla folla se fossero rimasti in città – dice Martin W., che accetta di accompagnarci, «anche se io questi qui li odio, davvero». Ragazzotti vestiti di nero, col cappuccio ben calato sulla testa, fanno da guardie del corpo a Meier, che entra applaudito da un centinaio di persone di mezza età, quasi tutti uomini e qualche consorte, dall’aria dimessa, rubizza e sgomitante. Fuori i più giovani controllano l’uscita, fumano, si danno pacche sulle spalle, ridono ad alta voce, gridano slogan neonazisti, «wir schaffen das», dicono facendo il verso alla cancelliera e alla sua frase sull’accoglienza ai migranti. «Noi dell’AfD della Sassonia – dice intanto Meier nel palco interno allestito per l’occasione – saremo una grande squadra, una squadra di veri uomini (e l’accento su uomini è stato insistito e applaudito)».
Tra le continue rumorose interruzioni di un pubblico entusiasta e agitato, Meier ha ringraziato, in un tedesco volutamente dialettale: «Cari amici, questo è il più grande successo della Germania dal 1945: noi, un partito patriottico, l’unico vero partito patriottico, noi, proprio noi, entriamo in Parlamento!». L’atmosfera si fa eccitata, la notte sarà ancora lunga e chiassosa per gli elettori AfD, sullo sfondo si sentono brutte frasi: «Questi negri se ne devono andare», il sottosegretario all’Integrazione (un cittadino turco-tedesco) «è un lobbista dei migranti, la sua presenza nel governo è una provocazione al popolo tedesco», «nel Mediterraneo ne sono morti troppo pochi», «rimandiamo tutti i turchi in Anatolia», «l’Islam non è tedesco».
Sulla Prager Strasse, arteria centrale di Dresda, la mobilitazione in strada è cominciata subito dopo gli exit pool, c’erano molti ragazzi, giovani famiglie, gruppi di asiatici, di africani, e una decisa rappresentanza della comunità turca. Hussein Jinah, indiano, da diciassette anni in Germania, è il presidente del dipartimento Integrazione della città di Dresda: «Un clima brutto, quello che si respira qui in Sassonia – ci dice – adesso sembrano tutti contro, ma dov’era questa gente ogni lunedì, quando quelli dell’AfD manifestavano in centro e nessuno diceva niente, qualcuno gli sorrideva persino?». Hussein racconta di un Paese in cui resiste, malgrado tutto, una tradizione radicata nella Ddr, per cui lo straniero è innanzitutto un nemico: «L’altra settimana, mi sono avvicinato a uno stand dell’AfD e ho chiesto che cosa volevano fare. Mi hanno risposto: “liberarci di quelli come te”».
Racconta anche delle tensioni interne alle varie comunità, di quella volta che Alexander, un russo tedesco, ha prima offeso una giovane egiziana al parco dandole della terrorista, tanto che lei aveva paura di uscire di casa e alla fine lo aveva denunciato alla polizia. Poi, mentre era in corso il processo, lui l’ha incontrata di nuovo e l’ha uccisa. «E ha avuto più solidarietà lui, che è finito in prigione, di lei, che è stata assassinata».
Gli unici a fare qualche resistenza, qui a Est, sono gli anziani che contribuirono alla caduta del muro; elettori tradizionalmente legati ai Verdi, che a quanto racconta Alexander Karschnia, regista teatrale e attivista, «sono i soli che riescono a zittire i giovani neonazi quando sfilano per le strade, senza essere a loro volta aggrediti». Se gli scontenti dell’Ovest ce l’hanno con le politiche migratorie del governo, qui a Ovest la rabbia ha un risvolto identitario: è lo straniero in quanto tale a rappresentare un problema, forse perché su di esso si proiettano le disparità sociali con i Länder occidentali. Qualcuno sostiene che da queste parti «tira aria di Weimar», certo è che una «questione orientale» esiste, e la cancelliera se ne dovrà occupare.