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 2017  settembre 20 Mercoledì calendario

L’altro Moro il lato umano della politica

Non furono mai facili i rapporti fra Aldo Moro e la sua immagine. Si legge nella sua recente e molto bella biografia di Massimo Mastrogregori ( Moro, Salerno, 2016) che il presidente partecipava di malavoglia alle indispensabili sedute fotografiche per i manifesti elettorali, rifiutava ogni posa “brillante”, non voleva saperne di tecniche comunicative e fermamente rifiutava di farsi truccare prima delle Tribune politiche. Ci sono testimonianze per cui già alla metà degli anni 60 Moro aveva individuato nelle smanie pubblicitarie e autopromozionali uno dei primi e più pericolosi mali della modernità, per cui disse no anche al fotografo che sull’onda di una celebre immagine kennediana gli aveva proposto di raffigurarlo al lavoro con il piccolo figlio, Giovanni, sulle ginocchia: «No – fu la risposta – i bambini devono restare fuori».
E però era anche un uomo curioso e complicato, capace di vedersi fino a tre film in un giorno, da Totò ai western fino al cinema americano indipendente, e viveva quasi sopraffatto dai quotidiani («i giornalacci» dicevano in famiglia), che pure leggeva fantasticamente la sera. Moro appariva il potere “fatto persona”: solitario, solenne, a tratti ieratico; ma essendo pure molto religioso – era terziario secolare domenicano e prendeva messa tutti i giorni – quello stesso potere riteneva in realtà concessogli in prestito da Dio, e comunque non faceva nulla per nascondere il peso quasi fisico che gliene derivava. La mostra che si apre questa mattina alla Biblioteca della Camera dei deputati (ore 10-13, via del Seminario 76) nell’ambito del progetto dell’Archivio Flamigni “Cento anni con Aldo Moro (1916-2016)”, ha la giusta ambizione di mostrare il personaggio autentico, come appariva insomma nella vita reale e come figurava dinanzi all’obiettivo di fotografi spesso non professionisti; iniziativa tanto più felice quanto più pensata e realizzata per oscurare le atroci, reiteratissime Polaroid delle Brigate rosse, restituendo umanità al politico e il politico alla sua dimenticata, ma assai ricca umanità. Ombroso studente-prodigio in Puglia, morbido capo democristiano, perfino fascinoso al tavolo mentre scrive a macchina, la sigaretta fra le labbra. A suo agio, anzi quasi allegro con Nenni, a cui certamente volle bene; intenso con Berlinguer, con il quale condivise la coscienza del dramma geopolitico italiano; terribilmente estraneo al cospetto di Henry Kissinger, che di Moro scriverà malissimo nei suoi diari. Ma specialmente e inaspettatamente curioso dei tanti che la sua vocazione e il suo mestiere gli mettevano davanti: muratori, studentesse, emiri, bambini. Caloroso in mezzo alla folla, addirittura entusiasta fra i suoi giovani studenti che lui anteponeva a mille incombenze e con i quali, in una istantanea scattata in fondo a un pullman, sembra che canti.
Un uomo, appunto, molto particolare: riservato, appartato, imprevedibile, elusivo, enigmatico, premuroso, permaloso, pignolo, pessimista, o meglio scettico, umile e al tempo stesso orgoglioso. Un potente sempre vestito di tutto punto, corazzato dentro il suo cappotto, giacca e cravatta anche in barca o in spiaggia, eccolo che spunta al centro di un formidabile gruppo di bagnanti. Fra le sue sintomatiche idiosincrasie si è poi saputo che temeva gli cascassero i pantaloni, perciò si metteva la cinghia, ma per maggior sicurezza anche un paio di bretelle. La massima civetteria consentita un paio di occhiali da sole.
Da alcune immagini sembra di capire che non sapeva mai bene dove mettere le mani, e allora le teneva giunte, come in preghiera. «A vederlo – ha scritto Leonardo Sciascia – sembrava preda della più antica stanchezza, della più profonda noia. Soltanto a tratti, tra occhi e labbra, si intravedeva un lampeggiare d’ironia o di disprezzo: ma subito appannato da quella stanchezza, da quella noia». Una volta andò a vedere Eduardo e questi dopo lo spettacolo gli regalò una foto con dedica: «Al mio indimenticabile amico Emilio Colombo». Moro si divertì da pazzo e per giorni la mostrò a tutti. Nella storia iconografica del potere gli equivoci sono una specie di benedizione postuma.