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 2017  settembre 20 Mercoledì calendario

Rio Ferdinand dai gol ai pugni. Ma cambiare non conviene

Per soldi, per frenesia, per sfinimento, per disperazione. O per follia. Sono diversi i motivi che convincono gli atleti, e sono tanti, a riciclarsi in un altro sport. Come Rio Ferdinand, l’ex difensore del Manchester United, ma anche della Nazionale inglese, che a 39 anni a novembre, ha deciso di darsi alla boxe. Non a menar pugni, proprio al pugilato professionistico, seguito dal personal trainer Mel Deane, l’ex rugbista irlandese che ha aperto una palestra alla periferia di Londra. Rio posta foto mentre tormenta un punching ball o accenna a qualche colpo sul ring con Tyson Luke Furt, l’armadio di 206 centimetri già campione del mondo dei massimi. «È una nuova sfida», avvisa l’ex difensore vincitore di 18 trofei tra cui una Champions. «Dopo tante coppe, ora punto a una cintura».
Ferdinand aveva abbandonato il calcio nel 2015 subito dopo la morte per cancro della 33enne moglie Rebecca: «La palestra mi ha aiutato a non pensare a niente o a qualcosa di diverso che stava succedendo nella mia vita». Una scelta estrema, ma non esattamente originale nel Regno Unito: ci avevano già provato Curtis Woodhouse, promettente centrocampista (4 presenze nell’Under 21) e poi boxeur professionista con 22 vittorie e 7 sconfitte nei pesi leggeri tra il 2006 e il 2014. Ma anche Leon McKenzie: attaccante cresciuto nel Crystal Palace e autore di 115 reti in vari campionati, tentò il suicidio, finì in galera e poi si convertì al pugilato con ottimi risultati. Cos’hanno a che fare calcio e pugilato? Praticamente nulla.
Ancora più distante il salto, è il caso di dirlo, che l’astista siciliano Giuseppe Gibilisco ha deciso di fare a fine carriera, nel 2014, dopo aver conquistato il titolo mondiale a Parigi 2003, un alloro olimpico ad Atene 2004 portando il limite nazionale a 5 metri e 90. «Sorprendere», non gli altri, se stessi: è la parola chiave di Gibilisco per spiegare la scelta improbabile di darsi al bob, proprio come aveva fatto Edwin Moses, campione olimpico e mondiale sui 400 ostacoli e poi bronzo nella Coppa del Mondo di bob a due. «Quando ho deciso di dedicarmi a questa nuova disciplina – racconta Gibilisco – la mia idea era di vincere tutto anche lì perché ci sono dei meccanismi innati in chi pratica lo sport. Poi si diventa più realisti e si cerca di calibrare le proprie aspettative». Un altro atleta italiano, il 25enne Gianmarco Tamberi, campione europeo e primatista italiano nell’alto, sta esplorando nuovi territori: sabato infilerà la canotta di basket del Siena e giocherà un’amichevole di A2 a Pistoia, chissà mai.
Il fenomeno del doppio «passaporto» sportivo appartiene soprattutto agli atleti statunitensi. Bob Hayes, oro nei 100 (10’’ netti) e nella 4x100 a Tokyo 1964, decise di passare al football, diventando ricco e conquistando il Superbowl con i Dallas Cowboys nel 1972. Sorte analoga per Michael Carter, argento nel peso a Los Angeles 1984 e trionfatore in tre Superbowl con i 49ers di San Francisco, e per Willie Gault, oro (4x100) e bronzo (100 hs) ai Mondiali di Helsinki 1983 e poi il Superbowl vinto con i Chicago Bears nel 1985, prima di tornare al suo vecchio amore: a 48 anni stabilì il primato mondiale master sui 100 metri in 10’’88.
Il caso più clamoroso, e anche più misterioso, di «tradimento» sportivo è quello di Michael Jordan, il più grande cestista della storia. Nel 1993, a trent’anni, MJ annunciò il ritiro dal basket per entrare nel mondo del baseball: «Voglio essere protagonista anche in un altro sport». Non sarà così: coi Chicago White Sox, Jordan si rivelò un mezzo disastro. Chi invece riuscì bene in due sport contemporaneamente è stato Bo Jackson, campione nel football e nel baseball, primo atleta nominato All Star in una doppia disciplina, senza contare la carriera cinematografica culminata con «L’ultimo appello» del 1996, dove ha recitato con Gene Hackman e Faye Dunaway.
In campo femminile, Marion Jones è passata da tre titoli mondiali (100, 200 e lungo), al ciclone doping prima di approdare al basket professionistico senza lasciare tracce. Nel 2016 il mondo sportivo ammirò la canadese Georgia Simmerling in gara nel ciclismo su pista, dopo aver partecipato a Vancouver 2010 nello sci e a Sochi 2014 nello skicross. Eclettismo o pazzia? Chiedetelo a Sonny Bill Williams, l’All Black che vinse tutto nel rugby e, già che c’era, anche nella boxe nei massimi. O a Renaldo Nehemiah, primo uomo a scendere sotto i 13’’ nei 110 hs, a 23 anni (nel 1982) decise di darsi al football accettando il contratto da un milione di dollari dei 49ers. Renaldo ci ripensò presto, troppe botte: tornò all’atletica dove collezionò solo infortuni muscolari. Quando cambiare sport non è proprio una buona idea.