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 2017  settembre 12 Martedì calendario

Il diavolo investe Prada. Ricavi in calo: il gruppo di Miuccia scivola in Borsa. L’aumento dei prezzi è stato un boomerang sugli utili

Mentre la duchessa di Cambridge Kate Middleton abbandona Zara per vestire Prada (fotografata subito dopo l’annuncio della terza gravidanza, accanto al suo principe William, con un abito a fiori della collezione autunno-inverno 2017), il marchio di Miuccia perde colpi. Chissà se la testimonial reale riuscirà a far risalire le quotazioni della griffe? Staremo a vedere. 
Ieri è stata una giornata negativa per il titolo Prada: sulla piazza di Hong Kong infatti ha registrato un tonfo a due cifre (-14%) dopo la diffusione di una semestrale deludente. Il gruppo cui fanno capo i marchi Prada, Miu Miu, Church’s e Car Shoe ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con un utile in calo del 18% a 115,7 milioni e ricavi in flessione del 5,5% (1,44 miliardi). Le poche notizie positive arrivano dall’Estremo Oriente (Asia-Pacifico). In particolare nella Greater China (Cina, Macao Hong
Kong) dove le vendite sono cresciute del 5,2%. Male altrove: America (-3,7%), Europa (-7,7%), Giappone (-14,2%), Medio Oriente (-11,7%) dove il turismo è crollato a causa del terrorismo. 
Qualche errore è stato fatto, forse nell’essere partiti in ritardo sul digitale. La società, guidata da Patrizio Bertelli e Miuccia Prada, ritiene che il piano strategico, nel quale la ristrutturazione del retail network e digitale avranno un ruolo maggiore, determinerà un ritorno alla crescita di ricavi e margini, anche se i risultati attesi potrebbero richiedere più tempo del previsto. «Siamo fiduciosi che le azioni impostate siano la giusta risposta per tornare a far crescere stabilmente ricavi e margini, seppur coscienti che stanno richiedendo tempi più lunghi del previsto per produrre gli effetti desiderati. La nostra situazione patrimoniale e finanziaria resta solida e ci consente di focalizzarci sulla creazione di valore per gli azionisti su un ampio orizzonte temporale», ha concluso il numero uno della griffe. 
Ma forse la diminuzione delle vendite è conseguenza di altri errori strategici. Prada ha cercato di emulare marchi come Hermés e Chanel alzando in modo eccessivo i prezzi delle borse, senza considerare che i concorrenti vendono altri oggetti meno costosi, come spiega su Business of Fashion, Luca Solca, analista di Exane Bnp Paribas. Nei negozi e nell’e-commerce di Prada ci sono decine di modelli di borse, alcune possono costare anche più di settemila euro (cifra spropositata) ma c’è pochissima scelta per la piccola pelletteria. Le recenti strategie dell’azienda, tra l’altro, vanno contro la natura del marchio, che in passato aveva riscosso molto successo con lo zainetto in nylon (must degli anni Ottanta) venduto a prezzo più accessibile tra i marchi europei di lusso. C’è da dire che nel settore delle borse di prezzo medio la concorrenza è cresciuta, dopo l’ingresso sul mercato di Michael kors, Tory Burch, Longshamp. Senza contare, come scriveva già un anno fa l’Economist, anche il gusto dei ricchi cinesi si sta spostando altrove. Forse verso Gucci, marchio ammiraglio di Kering, holding multinazionale francese guidata da Francois Henri Pinault. Che a differenza di Prada è riuscito a intercettare i gusti di giovani e giovanissimi di tutto il mondo: i Millennials (i nati tra il 1980 e il 1999) e la Generazione Z (i nati dopo il 1999). Quelli che Gentleman ha ribattezzato i MillennialZ. 
Sono la generazione dei sempre connessi on line, aperti al cambiamento; individualisti e attenti allo stile personale. È tra loro che si trovano i big spender. Che ci piaccia o no, il destino dei colossi fashion è nelle loro mani. A loro stilisti e manager svegli dedicano molta attenzione. Gucci in prima linea, ecco perché sta vivendo un periodo d’oro (quasi 4,4 miliardi di euro di fatturato con un incremento dei ricavi del 51%) ed è pronto ad assumere 900 giovani artigiani entro il 2018. Lo stilista Alessandro Michele, classe 1972, al timone della griffe dal 2015, è riuscito a conquistare i MillenialZ con i suoi accostamenti arditi, fuori dagli schemi: l’ultima collezione era un mix di stampe tappezzeria, fantasie cinesi, pezzi di stoffe e di quadri, amuleti, ventagli orientali, antiche valigie e patchwork. 
Mentre Miuccia Prada restava ancorata a un’eleganza lineare, squadrata, minimal con qualche guizzo creativo qua e là, Gucci rivoluzionava il guardaroba e stravolgeva le collezioni. Risultato: gli abiti dell’uomo e della donna si intrecciano, si mischiano, si confondono. Michele, se non fosse per la sua aria sognante e apparentemente trasandata, barba incolta, t-shirt scolorita e jeans con risvolto, sembrerebbe un Mark Zuckerberg della moda. Che vuole cambiare il mondo partendo dai vestiti. Un cambiamento che strizza l’occhio al gender-neutral, caro alle nuove generazioni di big spender. Fin dalla prima sfilata, la scelta dei modelli è stata fondamentale: non si capiva la differenza tra maschi e femmine. Il guccismo ha decretato la fine della distinzione tra i sessi. E ai MillennialZ piace così, sono loro in fondo a rappresentare più del 50 per cento del business di Gucci. «Abbiamo clienti di ogni tipo. Siamo tutti liberi di fare quello che vogliamo», commentava Michele al Washington Post mentre mandava in passerella il mocassino senza tallone foderato di pelo.