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 2017  settembre 13 Mercoledì calendario

L’architettura del Ventennio è arte: punto e basta

Nato nel 1963, Emanuele Fiano è un deputato del Pd che, pur non conoscendo la storia, ha la presunzione di misurarvisi. Ossessionato dalla propaganda fascista, propone di abradere manco fosse un tatuaggio – la scritta «Mussolini Dux» sull’obelisco del Foro italico. Solitamente alla fine di ogni regime totalitario vengono abbattute le effigi realistiche dei dittatori a sottolineare l’atto liberatorio.
Qui si tratta di tutt’altra cosa, che speriamo non incontri il favore del parlamento anche dopo (ettepareva) il pronunciamento favorevole della presidente Boldrini.
Sarebbe, insomma, come cancellare alcune iscrizioni risalenti all’Impero romano perché, a pensarci bene, non è che Ottaviano e i suoi eredi siano poi stati così miti e democratici, ma certo a nessuno (finora) è venuta l’idea balzana che eventuali scritte d’epoca augustea offendano la memoria degli italiani di oggi.
Inaugurato nel 1932, il Foro italico venne ideato e realizzato da Enrico Del Debbio, un progetto ambizioso, che comprendeva diversi edifici ispirati ai valori dello sport tra cui lo Stadio dei marmi e lo Stadio dei cipressi dalle quali fondamenta è poi nato lo Stadio olimpico, interrotto e completato nel dopoguerra, tra 1956 e 1968, quando cioè il sentimento antifascista era ben più radicato di oggi.
Nella sua enfasi di ritagliarsi un posto al sole, in quest’epoca di assoluta mediocrità della classe politica, Fiano ignora che al fascismo si può ascrivere il momento più significato e importante dell’architettura italiana del 900. Un’idea precisa di stile, improntato alla modernità, edifici straordinari che lasciano un segno indelebile non di apologia del potere ma di una linea estetica progettuale, perfettamente armonizzata con l’antico, a fronte della confusione successiva che ha visto l’affastellarsi di costruzioni senza alcun’idea di piano regolatore urbano razionale.
Non ci va certo una mente raffinata per scindere il significato politico dall’armonia di forme e dallo splendore dei materiali, altrimenti rischieremmo davvero di cancellare oltre metà delle testimonianze storico-architettoniche che, da sempre, flirtano con il potere. Senza contare l’eleganza del carattere tipografico, derivato dalla famiglia del Futura e spesso disegnato appositamente, talmente bello da essere ancora correntemente utilizzato nella comunicazione pubblicitaria contemporanea.
In un Paese che ci ha messo decenni alla piena rivalutazione di un pittore come Mario Sironi, per molta critica compromesso con il fascismo, non vorremmo davvero che la lettura della storia fosse affidata a politici di non eccessivo prestigio o lungimiranza. Basterebbe farsi un giro a Berlino, dove musei, negozi e mercati propongono memorabilia del regime della Ddr, un sistema di governo non certo improntato sulla democrazia e la tolleranza, che morti e danni ne ha fatti eccome. Da questa moda è nato persino un nuovo lemma, Ostalgie, la nostalgia dell’Est. Nessun problema a sdoganare l’estetica del comunismo, anche quella sovietica ha il suo perché, mentre quando si parla di stile fascista in Italia affiorano fantasmi ormai sepolti.
In un’Italia che ha ben altri problemi urgenti, non ci resta che affidarci a un’opposizione culturale prima che politica.