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 2017  settembre 13 Mercoledì calendario

«Guadagno tanto ma la Rai risparmia. Tra quattro anni smetto poi farò il produttore». Intervista a Fabio Fazio

Fabio Fazio, ma alla fine lei quanto guadagna? Un quotidiano ha scritto 83 milioni di euro.
«È stata un’estate tra alti e bassi. Il mio borsino saliva e scendeva: prima 11 milioni, poi 19, 52, 70, fino a un picco di 83; poi perdevo 50 milioni secchi e diventavano 20. Il record l’ha stabilito di recente un quotidiano importante: 870 milioni. Una finanziaria».
Qual è la cifra vera?
«Quella indicata dal direttore generale: il programma costa tutto compreso 450 mila euro a puntata. La metà di qualunque varietà, molto meno di qualsiasi fiction. Questa operazione rappresenta un tentativo di portare un talk in prima serata, dove solitamente stanno i varietà e ha un risvolto pratico: anche con uno o due punti in meno di share, il risparmio è notevole».
Sì, ma lei quanto guadagna?
«Due milioni e 240 mila euro l’anno, per quattro anni. Il totale fa 8 milioni 960.000; ma, non si sa perché, tutti i giornali hanno scritto 11 milioni e 200».
È comunque tanto.
«Sì, è una cifra molto importante. Io ho naturalmente applicato lo sconto che mi ha chiesto la Rai. Ma farò 32 puntate in più per un totale di 64: oltre alle tre ore della domenica sera, andrò in onda anche il lunedì alle 23 e 30. E il programma è pressoché interamente ripagato dalla pubblicità. Come ha detto il dg, l’azienda risparmia».
Questo non le ha certo evitato attacchi e polemiche. Come risponde?
«Se lavori di più, non è dato che tu chieda di essere pagato di meno. Una società fondata sul denaro arriva al paradosso che, a seconda dei punti di vista, il denaro misura non il valore o il merito, ma il privilegio. Questa è la lezione che ho capito. Se anziché due milioni fossero uno o tre, non sarebbe diverso».
È denaro della Rai, finanziata anche con il canone.
«Non sarebbe diverso neppure se fosse stata una tv privata: avrebbero detto che tradivo la Rai per denaro. È un paradosso da cui non ci si può difendere, se tutto si misura in valore economico, la politica coincide con l’economia, il mercato con il capitalismo. Restiamo ai fatti. Dopo una carriera, uno assume un valore di mercato importante».
Ma è la tv pubblica.
«Chiunque lavori in Rai guadagna enormemente di meno che altrove. Il vero punto è il ruolo della tv pubblica. Che oggi vende pubblicità come le altre. Se si decide che la Rai non deve più stare sul mercato, si può fare. Si riduce a una sola rete, si finanzia solo con il canone, sfoltisce metà dei dipendenti. Vogliamo questo? Una squadra di serie A può pagare i suoi calciatori un decimo delle rivali?».
Cantone ha acquisito le carte del suo contratto: la produzione del programma è affidata a una società, di cui lei fa parte, che ancora non esisteva.
«Il contratto ovviamente è stato firmato dopo la costituzione della società, l’OFFicina. Che tempo che fa è sempre stato prodotto esternamente. Nulla vieta al conduttore di far parte della società che produce il programma, come accade a molti colleghi di Mediaset. Non c’è nulla di più pubblico della vicenda del mio contratto».
È vero che ha avuto altre proposte?
«Certo, ho incontrato altri editori».
Il sito di Prima Comunicazione ha scritto che lei aveva già firmato un accordo con Discovery. È così?
«Non posso entrare in dettagli legati alla riservatezza. Certo se una vicenda come questa fosse inventata avrei commesso un reato».
È vero che una sua autrice guadagna più del direttore generale?
«Ovviamente no. È falso. Ho sempre cercato e valorizzato giovani collaboratori, alcuni erano alunni e alunne dei miei corsi universitari. Di fronte alle calunnie, agli atteggiamenti sessisti e alla diffamazione non restano che le querele».
Il web con lei è stato durissimo.
«Ma nella vita vera nessuno da quando è iniziata questa storia ha mai avuto un gesto di scortesia nei miei confronti. Per fortuna le persone vivono in modo normale. Leggono un giornale ogni tanto, se lo passano, lo sfogliano al bar. Il web e i social non sono la verità. Trovo incredibile la leggerezza con cui certi giornalisti accreditano menzogne, dicendo di averle trovate su un sito. Sono soprattutto stupefatto dalla disponibilità a fare del male alle persone, a dare giudizi perentori senza sapere cosa c’è dietro. Sarò il buonista nazionale, ma considero la lezione più importante quella che mi diede Enzo Biagi: “Ricordati che noi con le parole possiamo fare male; dobbiamo usarle con cautela”».
Chi l’ha difesa?
«Pochissimi. Certamente nessuno della politica, nessuno dell’industria culturale italiana. Nessuno del cinema, dell’editoria, della musica, che dovrebbero saper bene qual è il valore industriale del programma. Ma questo non mi fa sentire più solo, anzi, mi fa sentire più libero. Mi difende, come sempre, il mio lavoro».
Quali risultati si aspetta dall’approdo a RaiUno?
«Dopo 14 anni, era un approdo naturale, voluto dal direttore Andrea Fabiano e dal vicedirettore Rosanna Pastore. Sarà un esperimento interessante. La media di Rai1 la domenica è intorno al 15%. Se anche si facesse il 13% con un programma di parole, sarebbe un cambio importantissimo di linguaggio».
Perché?
«Perché l’intrattenimento di Rai1 si basa sul varietà e sul game. Che tempo che fa invece è un talk show. Questa è la sfida. Non è detto che funzioni; ma bisogna provare. Se uno comincia a dirsi che provare non gli conviene, finisce per non fare nulla. Mi sono sempre divertito a inventare programmi, senza importarli dall’estero; e quando uno funzionava, ne collaudavo un altro. Domenica scorsa sono tornato a Quelli che il calcio. Abbiamo fatto uno scherzo al pubblico, per un quarto d’ora ho condotto io la trasmissione, come un tempo. Sono felice che dopo 25 anni il programma sia ancora lì, con quel titolo, inventato alle feste di Cuore. Sono molto grato a Bruno Voglino e Marino Bartoletti per aver pensato a me».
Lei ha rifatto «Rischiatutto» di Mike Bongiorno, simbolo della tv generalista. Però è considerato uno di sinistra. Qual è la verità?
«Non esistendo più la sinistra, non si può più essere definiti di sinistra... Sono uno cui non piace ripetersi. Da Anima mia sono nate le varie trasmissioni di amarcord sugli anni 80. Vieni via con me fece il 30%; ma fecero la media del 30 anche le due puntate su RaiUno di Rischiatutto. Chi fa tv deve sentire quello che va in quel momento».
La politica va ancora?
«Vorrei avere molta politica e pochi politici».
Il suo amico Claudio Baglioni sarà il direttore artistico di Sanremo. Perché lei esclude di esserne il conduttore?
«Perché Sanremo non si conduce; Sanremo si fa. Mi viene da sorridere, perché dopo Anima mia volevo fare Sanremo con Baglioni e ci fu la rivolta dei discografici: mai un cantante... Sono contento per Claudio: un intellettuale che fa musica».
Come sarà «Che tempo che fa» su RaiUno?
«Tre ore di parole la domenica sera, dove avranno voce Marzullo e, se ci riusciamo, i grandi scrittori del nostro tempo. E un’ora il lunedì sera alle 23.30, attorno a un tavolo più piccolo, alla francese, ospiti fissi Fabio De Luigi e Antonio Cabrini. Un altro esperimento. Ho un contratto per quattro anni. Poi basta».
Cosa farà?
«Vedremo. Magari il produttore».