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 2017  settembre 13 Mercoledì calendario

Danilo De Rossi: «La mia avventura per dare un corpo agli androidi intelligenti»

Danilo De Rossi ha intitolato la sua lezione «I sogni degli Androidi»: inaugurando il Festival Internazionale della Robotica di Pisa, giovedì scorso, ha raccolto i fili di un’avventura iniziata un trentennio fa e ancora in piena corsa. Sempre con i robot per mano. E prima di tutto con quelli antropomorfi, che – chissà – un giorno impareranno a sognare, ma che intanto fanno sognare tanti esseri umani, specialisti e non. A cominciare da De Rossi, decano dei bioingegneri all’Università di Pisa, che racconta la fascinazione per i nostri alter ego quando erano solo irrequieti personaggi della letteratura e del cinema: Asimov, «Star Wars», «Blade Runner»…
«Sono convinto che, se non c’è corpo, non c’è nemmeno intelligenza», dice adesso, nel suo studio all’università. E, volutamente, fa un po’ di brainstorming a chi crede che l’Intelligenza Artificiale si esaurisca negli algoritmi e – sottolinea – «nella straordinaria capacità di macinare dati». Non è affatto così, aggiunge. Quella dei super-software immateriali, con cui interagiamo nel mondo virtuale, è, scherzosamente, «Gofai»: nel gergo degli specialisti «Good old fashioned Artificial Intelligence», intelligenza alla vecchia maniera. Iper-potente, come nemmeno l’avevano immaginata padri nobili tipo Marvin Minsky e John Von Neumann, e tuttavia priva di ciò di cui la nostra mente non può fare a meno: emozioni, spirito sociale, imprevedibilità.
La prossima Intelligenza Artificiale, quindi, quella su cui De Rossi ha iniziato a sognare in una precedente epoca tecnologica, deve – dice – «incorporarsi». Dalle piattaforme per far funzionare gli algoritmi, così, si salterà agli organismi sintetici in cui «superare l’antico pregiudizio occidentale della separazione cartesiana mente-corpo». I robot antropomorfi dei nostri desideri – angeli tuttofare e servizievoli – ancora non esistono, ma i loro genitori stanno prendendo forma in tanti laboratori, sparsi tra Occidente e Oriente. E quando entreranno nella quotidianità – non sappiamo se con passo felpato o con l’enfasi degli effetti speciali – perfino Asimov faticherà a riconoscerli. «Non è pensabile di imporre loro le famose tre Leggi della Robotica. Sono troppo astratte e perciò generiche. Come limitarsi a spiegare che la sedia è un oggetto a quattro gambe sul quale sedersi». Spiegazione vaga e disorientante, dal momento che nella definizione rientra a sorpresa anche un cavallo. E allora queste creature di nuova generazione dovranno essere educate con pazienza, istruite con esempi continui, giorno dopo giorno, accudite dalle controparti in carne e ossa. «Uomini e macchine – dice De Rossi – finiranno per crescere insieme».
Che cos’è, quindi, l’intelligenza? Dimentichiamo per un momento l’assimilazione brutale di dati e nozioni. Meglio lasciare il posto a una visione più eclettica. «È semmai la capacità di navigare in sistemi non strutturati, interagendo con il mondo». E in questo dialogo ininterrotto la forza della logica si intreccia con l’energia delle percezioni e la predisposizione del corpo a fare le cose, uscendone trasformata: «Se le emozioni non ci fossero, come ha dimostrato il celebre neuroscienziato Antonio Damasio, noi umani sragioneremmo». E le macchine con noi.
Non a caso De Rossi è diventato famoso per le invenzioni bioispirate, tratte dai meccanismi ideati dalla natura da milioni di anni e, quindi, perfettamente testati. Pelle sintetica, muscoli artificiali, nasi elettronici e anche l’occhio con il cristallino ricreato in laboratorio. Parti di un mosaico di «ingegneria alternativa» – la definisce il professore – che bypassa le goffe limitazioni di viti, bulloni e fili. «Io amo definirmi un bionico». E bionici sono i suoi robot. Alternativi e di sicuro così intriganti da giocare con le emozioni umane. Uno è «Face», che, infatti, sta per «Facial automation for conveying emotions». Questa bella ragazza sintetica, dai lunghi capelli neri, non parla, ma interagisce con noi nel mondo più primordiale ed efficace: con la mimica. Sguardi e ammiccamenti sono la sua specialità. A conferirle speciali virtù empatiche è un fascio di sensori: orienta lo sguardo verso l’interlocutore, ne decifra le espressioni del volto e quindi sa indovinare lo stato emotivo di chi gli sta di fronte, a partire da sei condizioni di base: rabbia, disgusto, paura, felicità, tristezza e sorpresa.
Pensato per aiutare i bambini autistici, «Face» è un piccolo monumento alle potenzialità comunicative, per lo più inesplorate, tra noi e le macchine. E adesso attende futuri sviluppi. Se sa muovere le braccia, le gambe restano quelle inerti di un manichino. La sua intelligenza ha cominciato a incarnarsi – secondo i principi cari a De Rossi – ma non del tutto. Ecco perché, alla ricerca della miracolosa sintesi tra pensieri e materia, il professore si dedica alla sua ultima creatura. «Si ispira alla sanguisuga: piccola, efficiente e intelligente, visto che l’originale sa sempre dove andare per trovare il sangue». Il robottino – confessa – «è un morbido corpicino difficilissimo da realizzare». Deve alimentarsi con sale e rugiada e dev’essere totalmente biodegradabile, oltre che sapersi muovere in un ambiente complesso. «Sembra strano, eppure la sanguisuga rappresenta un modello ideale di organizzazione neuromotoria così come un moscerino, la drosofila, è diventato celebre per servire da riferimento alle ricerche genetiche». Il professore non nasconde l’entusiasmo: la strada per la mente sintetica passa per un esuberante vermetto.