Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 12 Martedì calendario

Intervista a Papa Francesco: «L’Italia apre il cuore ai migranti. Per accoglierli e integrarli serve la virtù della prudenza»

«Mi sono schierato per salutare i bambini e non ho visto il vetro, e… pum!». Il Papa sorridendo, con l’evidente ematoma scuro che gli incornicia la guancia sinistra, così risponde alla domanda su come si senta dopo il piccolo incidente capitatogli a Cartagena. Subito dopo il decollo del volo Avianca diretto a Roma, Francesco ha dialogato per 38 minuti con i giornalisti su immigrazione, cambiamenti climatici, gli ultimi provvedimenti di Trump e la situazione del Venezuela. Ha manifestato appoggio all’Italia per quanto sta facendo per gestire l’emergenza degli sbarchi e regolare i flussi.
La Chiesa italiana ha espresso comprensione verso la politica del governo di restringere su partenze Libia. Si è scritto di un suo incontro con il premier Gentiloni: avete parlato di questo? E che cosa pensa lei di questa politica sulle partenze, dato che i migranti in Libia vivono in condizioni disumane?
«Quello con Gentiloni è stato un incontro personale, è avvenuto prima di questo problema, e non su questo argomento. Sento comunque il dovere di esprimere gratitudine per l’Italia e la Grecia perché hanno aperto il cuore ai migranti. Accoglierli è un comandamento di Dio… Ma un governo deve gestire questo problema con la virtù propria della prudenza. E dunque, primo: quanti posti hai. Secondo: non solo accoglierli, ma anche integrarli. Ho visto esempi in Italia di integrazioni bellissime. Terzo: c’è un problema umanitario. L’umanità prende coscienza di questi lager, delle condizioni in cui questi migranti vivono nel deserto, ho visto delle foto. Ho l’impressione che il governo italiano stia facendo di tutto in campo umanitario, per risolvere anche problemi che non si potrebbe assumere. Allora: cuore sempre aperto, prudenza, integrazione e vicinanza umanitaria. Poi però il nostro inconscio collettivo pensa: l’Africa va sfruttata. Bisogna capovolgere questo: l’Africa è amica e va aiutata».
Stiamo volando vicino all’uragano Irma che ha provocato morti e milioni di sfollati. Secondo gli scienziati il riscaldamento degli oceani rende gli uragani più intensi. C’è una responsabilità morale dei leader politici che negano l’influsso dell’uomo su questo cambiamento climatico?
«Chi nega questo deve chiederlo agli scienziati: loro parlano chiarissimo, sono precisi. È dell’altro giorno la notizia di quella nave russa che ha attraversato il Polo Nord senza trovare ghiaccio. Da un’università hanno detto che abbiamo soltanto tre anni per tornare indietro, al contrario ci saranno conseguenze terribili. Io non so se i tre anni siano veri o no, ma se non torniamo indietro, cadiamo giù! Il cambiamento climatico si vede nei suoi effetti, e tutti noi abbiamo una responsabilità morale nel prendere decisioni. È una cosa molto seria. Ciascuno ha la sua responsabilità morale e i politici hanno la loro. Che uno chieda agli scienziati e poi decida. La storia giudicherà sulle sue decisioni».
I cambiamenti climatici si fanno sentire anche in Italia, ci sono stati molti morti in questi giorni e tanti danni… Perché tarda una presa di coscienza da parte dei governi che invece sono solleciti su altro, penso ad esempio alla corsa agli armamenti della Corea?
«Mi viene in mente una frase dell’Antico Testamento: l’uomo è uno stupido, un testardo che non vede. È l’unico animale che cade due volte nella stessa buca. La superbia, la sufficienza… e poi c’è il “dio della tasca”. Tante decisioni dipendono dai soldi. A Cartagena ho visitato una parte povera della città. Dall’altra c’è la parte la parte turistica, il lusso, e un lusso senza misure morali. Ma quelli che stanno di là non si accorgono di questo? Gli analisti sociopolitici non se ne rendono conto? Quando non si vuol vedere non si vede, si guarda da una parte sola. Sulla Corea del Nord: davvero non capisco il mondo della geopolitica, ma credo che lì vi sia una lotta di interessi che mi sfugge».
Lei dice sempre ai giovani: non vi fate rubare la speranza. Il presidente Trump ha abolito la legge per i dreamers, i «sognatori», che fa perdere il futuro a 800 mila ragazzi entrati illegalmente negli Usa da minori. Che cosa ne pensa?
«Ho sentito dell’abolizione di questa legge, ma non ho potuto leggere gli articoli e le ragioni della decisione. Non conosco bene la situazione. Però staccare i giovani dalla famiglia non è qualcosa che porta buoni frutti né per i giovani, né per la famiglia. Questa legge viene dall’esecutivo e non dal Parlamento: se è così, ho speranza che ci si ripensi un po’. Ho sentito parlare il presidente degli Stati Uniti, che si presenta come un pro-life. Se è un bravo pro-life, capisce l’importanza della famiglia e della vita: va difesa l’unità della famiglia. Quando i giovani si sentono sfruttati, alla fine, si sentono senza speranza. E chi gliela ruba? La droga, le altre dipendenze, il suicidio, a cui si può arrivare quando si viene staccati dalle proprie radici. Qualsiasi cosa che vada contro le radici ruba la speranza».
Lei durante questo viaggio ha pregato perché finisca la violenza in Venezuela, e ha incontrato alcuni vescovi venezuelani. Ma il presidente Maduro usa parole violente contro i vescovi, e afferma invece di essere «con Papa Francesco». Che cosa dice?
«Credo che la Santa Sede abbia parlato in modo forte e chiaro. Quello che dice Maduro, lo spieghi lui. Io non so che cosa abbia in mente. La Santa Sede ha fatto tanto, ha inviato quel gruppo di lavoro composto dai quattro ex presidenti, un nunzio di primo livello; ha parlato con le persone e pubblicamente. Io tante volte all’Angelus ho parlato cercando sempre un’uscita, offrendo aiuto per uscire da questa situazione, ma sembra sia molto difficile e ciò che è più doloroso è il problema umanitario: tanta gente che scappa o soffre. Dobbiamo aiutare a risolvere la situazione in ogni modo. Credo che le Nazioni Unite devono farsi sentire lì per aiutare».
Lei è arrivato in Colombia in un Paese diviso tra quelli che accettano gli accordi di pace e quelli che non li accettano. Che cosa bisogna fare concretamente perché le parti divise superino l’odio? Se tornasse fra qualche anno come le piacerebbe trovare la Colombia?
«Il motto di questo viaggio era “Facciamo il primo passo”. Ritornando mi piacerebbe che il motto fosse: “Facciamo il secondo passo”. Queste guerriglie e i paramilitari hanno fatto peccati brutti e hanno portato questa malattia dell’odio. Ma ci sono passi che danno speranza. L’ultimo è il cessate il fuoco del Eln (Esercito di Liberazione Nazionale), e lo ringrazio tanto. Ho percepito una voglia di andare avanti che va oltre i negoziati in atto, una forza spontanea. Lì c’è la voglia del popolo. Il popolo vuole respirare e dobbiamo aiutarlo con la vicinanza e la preghiera».