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 2017  settembre 12 Martedì calendario

In tavola a Napoli passione e baccalà

La cucina è il loro vero regno e perciò nun se po’ pazzià. «I napoletani vivono il presente», dice Jean-Noel Schifano, scrittore parigino che conosce bene la tavola di Partenope. In questa parte di mondo dove tutto è un viaggio e ognuno è artigiano della propria vita, si mangia a tutte le ore: il cibo «per i napoletani è talmente importante che non hanno un sostantivo per chiamarlo: usano il verbo mangiare che diventa sostantivo, o magnà, ossia il mangiare», spiega Luciano Pignataro nel suo elegante libro La cucina napoletana, con prefazione di Alfonso Iaccarino (Hoepli, pp. 248, euro 29,90).
I PILASTRI
Dalle storie e ingredienti della cucina partenopea si può solo imparare: passando per i mestoli pieni di sapori dei monzù, trattati alla stregua di artisti (tra questi Tonno e Targiani e Cunfettiello e Barracco), si arriva alla cucina del popolo o da passeggio, con l’olio d’oliva che spodesta il burro nelle trattorie a conduzione familiare (oggi ne sono rimaste circa 60) che operano da oltre cento anni tra le strade di Napoli. 
«Ma accanto a questo filone – annota l’autore, raffinato critico enogastronomico – grazie alla spinta dei ristoranti della penisola Sorrentina, primi fra tutti Don Alfonso e La Torre del Saracino, si è realizzato a partire dagli anni Novanta un vero e proprio stile campano nella ristorazione d’autore». Un sigillo di qualità che si basa su alcuni pilastri: rivalutazione del ruolo della pasta, scoperta del pomodoro e uso del limone come acidificanti naturali, ampio spazio ai piatti vegetali e di mare, con un occhio ai pesci poveri. La pasta e patate di Nino Di Costanzo o la scomposizione della pastiera di Lino Scarallo sono piatti che fanno sognare, accanto al Vesuvio di Don Alfonso e alla minestra di pasta e pesci di scoglio di Gennarino Esposito.
LE PASTICCERIE
Dai locali storici come la Bersagliera e Zi’ Teresa, Ciro a Mergellina, Rosiello, Da Mimì alla Ferrovia o Ciro a Mergellina alle pizzerie (Michele, Brandi, Umberto, Trianon e mille altre) alle pasticcerie Pintauro e Scaturchio, la tavola azzurra si veste a festa con i pomodori del piennolo del Vesuvio, i friarielli, la pasta di Gragnano e il vino campano che declina Greco di Tufo e Coda di Volpe, Asprinio e Falerno, Taurasi e Piedirosso.
Imperdibile il ricettario: dalla minestra maritata alla pasta e fagioli con le cozze, senza dimenticare i vermicelli alla puttanesca. Mentre il segno vegetale, sempre presente nella cucina del Golfo, parla con i sapori unici della parmigiana di melanzane o zucchine. Un autentico re il baccalà, insieme al pesce azzurro e al polpo, di cui i napoletani sono grandi divoratori durante tutto l’anno. Vivete la disfida dei cucuzzielli tra Capri e Nerano, con il segreto di piatti che sono nati in quella fetta di mare blu che va dai Faraglioni a Li Galli, l’isola delle Sirene di Ulisse. 
Preziosi i consigli per la pasta e fagioli sciuè sciuè o la pizza di scarola, la minestra maritata o il coniglio all’ischitana. E prima del caffè non si lascino cadere le dritte per la vera pastiera, sfogliatella e babà. Ha ragione Pignataro: «Facciamoci uno spaghetto resta sempre la proposta più allegra e confidenziale che potete fare a degli amici, ai familiari o alla persona che amate al termine di una bella serata». Come insegna Eduardo, sorridendo per i mille vicoli del cuore.