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 2017  settembre 12 Martedì calendario

Il regista Ziad Doueiri: «Premiato a Venezia, processato a Beirut»

Il regista franco-libanese Ziad Doueiri parla usando il cellulare del suo produttore francese Jean Brehat. Ha il sollievo di chi è appena uscito da un incubo kafkiano: è appena stato liberato dalle autorità libanesi dopo essere stato processato (e prosciolto) da una corte militare con l’accusa di aver “cospirato con il nemico” per aver girato un film in Israele cinque anni fa. Ai cittadini libanesi è infatti proibito visitare un paese con cui il Libano è ufficialmente in guerra. Il cineasta 54enne, che ha studiato in America (era l’operatore di Quentin Tarantino in Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown), era stato arrestato domenica sera subito dopo l’atterraggio a Beirut. Arrivava dalla Mostra di Venezia, dove il suo film L’insulto è stato premiato con la Coppa Volpi all’attore palestinese Kamel El Basha.
Doueiri, cosa è successo?
«Da Venezia sono volato a Beirut per l’uscita in sala di L’insulto.
Sono atterrato alle sette di sera, mi hanno portato in una stanza dove mi sono stati confiscati i due passaporti, francese e libanese. Ho chiesto il perché: “C’è un’accusa contro di te, domani ti presenterai alla corte militare perché ciò che hai fatto è materia di sicurezza nazionale”. Ho passato ore terribili: rischiavo 5 anni di prigione. Mi sembrava impossibile che il governo libanese facesse scoppiare un incidente diplomatico: di sicuro non vuole gli occhi del mondo puntati addosso per aver arrestato un cineasta. Ma era la situazione a spaventarmi: sono solo un artista che racconta storie, non avrei mai creduto di essere arrestato. Pensavo a mia figlia che è in Francia e che avrebbe visto il papà in prigione. Mi dicevo: “Ma tu sei un cittadino francese, non potranno farti questo”. Ho dormito dai miei genitori e oggi sono andato davanti alla corte».
In questi 5 anni lei era tornato altre volte a Beirut. Perché l’hanno fermata solo ora?
«Perché c’è gente che non vuole che L’insulto esca in sala e cercano di fermarlo in tutti i modi. Il film affronta argomenti sensibili, fatti del passato che non sono mai stati pubblicamente affrontati dal punto di vista pubblico, culturale, politico. Per boicottare questo film hanno ripescato un’accusa vecchia di 5 anni».
Nel film la lite apparentemente futile tra un profugo palestinese e un cristiano libanese, che diventa un caso nazionale. E si affronta una strage dimenticata nei villaggi cristiani.
«C’è un partito in Libano che è stato perseguitato e ostracizzato, ed è il partito cristiano. Sono in molti a pensare male di questo partito, per quel che ha fatto nella storia. Il mio film mostra il passato attraverso la prospettiva dei cristiani. E quelli che odiano questo partito stanno cercando di fermarlo».
Il suo film è stato scelto dal ministero per rappresentare il Libano agli Oscar.
«Sì. Ironico, vero? Ho anche passato il visto della censura senza problemi. Il film è stato finanziato soprattutto da produttori libanesi, con Belgio, Usa e Francia. Alcuni politici libanesi sono andati a lamentarsi con il governo che ha dovuto avviare la procedura obbligatoria. È vero, ho girato in Israele, a Tel Aviv e in Libano questo è illegale. Infatti il film è stato bandito. Ma i giudici hanno concluso che quel film, The attack, non era stato un danno per il Libano o per l’identità palestinese».
Chi sono quelli che vogliono fermarla?
«A dire la verità sono esponenti della sinistra. Cosa bizzarra, visto che dovrebbero essere più aperti. Ma ci sono frange della sinistra talmente radicali da comportarsi come i fascisti».
Lei ora dov’è?
«Sono a Beirut, sto andando al teatro per le prove tecniche per la prima di L’insulto. Domani ci aspettiamo tumulti alla proiezione e il governo sta mandando i militari a proteggerci. Sono previsti molti dimostranti che verranno a boicottare la proiezione. Ma io non ho paura».