Corriere della Sera, 12 settembre 2017
«Mi minacciava, temevo di morire». Il racconto della ragazza violentata nel centro di Roma a Castro Pretorio
ROMA Le quattro di notte tra venerdì e sabato, in via Monzambano, fra la stazione Termini e Castro Pretorio, nel centro di Roma, le urla di una ragazza fanno scattare l’allarme: «Aiuto! Polizia!». Da una finestra si affaccia una coppia di anziani che telefona al 113: «Correte, c’è uno stupro!». Iniziano venti minuti da incubo per una 20enne finlandese, violentata, colpita con una pietra e rapinata da S. K., un 22enne bengalese che verrà poi arrestato nello spazio di una giornata. L’aggressore è in Italia dal 2014 con un permesso umanitario e da qualche giorno lavora come lavapiatti in un ristorante. È la seconda aggressione in poche ore nella Capitale. Alle 10.30 di mattina una turista americana si era salvata, grazie a un passante, dalle molestie di un ivoriano a Colle Oppio, sempre in centro. L’ottobre scorso, nello stesso quadrante, una turista australiana era stata stuprata da un romeno.
Stavolta la vittima è una ragazza «alla pari», ospite da un anno di una famiglia di Roma nord. Fa la babysitter e impara l’italiano. Venerdì passa la serata allo Yellow Bar di via Palestro assieme a una connazionale e quando è quasi l’alba esce in strada alla ricerca di un taxi. A loro si avvicina il bengalese. Con la futura vittima ha scambiato qualche parola nel locale, uno dei ritrovi più noti degli studenti stranieri che vivono a Roma. S.K. orecchia la conversazione delle due e si offre di dare un passaggio con l’auto che in realtà non ha. La 20enne si fida sebbene l’amica si mostri diffidente. Ma le bastano pochi minuti per cominciare a capire. Il ragazzo prova a baciarla sul collo e ad abbracciarla mentre si incamminano. Lei si spazientisce: «Dov’è l’ auto, dove mi stai portando?». L’aggressore la spinge contro un muro, la tiene ferma, raccoglie un sampietrino da terra e la minaccia per farla tacere: «Ti spacco la faccia, ti ammazzo!». Ma lei urla e qualcuno la sente e urla a propria volta di lasciarla stare. Il bengalese non desiste, anzi. La schiaffeggia e la colpisce al petto con la pietra che verrà poi ritrovata dagli agenti della squadra mobile. Lei è come paralizzata. Viene trascinata per qualche decina di metri a ritroso fino a via di Castro Pretorio, più esposta ma meno abitata. Al riparo di un bus parcheggiato nei pressi di un distributore, la ragazza viene infine violentata, presa a morsi, colpita ancora. Poco lontano c’è una caserma dell’esercito, ma neanche questo è un deterrente.
Il violentatore si mette in tasca anche 40 euro della vittima e poi si allontana di corsa. Lei, semi incosciente, torna dalla amica che ancora aspetta il taxi. Alle 5.10 parte una nuova chiamata di emergenza: «Hanno stuprato una ragazza, correte» mentre la 20enne viene accompagnata all’Umberto I. Il referto è inequivocabile e colpisce per brutalità anche il personale medico.
Le indagini del commissariato Viminale sono rapide. Vengono raccolte le testimonianze dei titolari e degli avventori dello Yellow. Si risale al nome del sospetto e dai faldoni spunta la sua foto. La ragazza lo riconosce e le telecamere che hanno ripreso i due lungo il percorso, forniscono, insieme alle celle telefoniche, tutte le altre conferme.
Il pm Cristiana Macchiusi, la stessa del caso delle adolescenti che si prostituivano ai Parioli, ottiene un racconto dettagliato dalla vittima: «Avevo paura di morire, è stato terribile». La polizia controlla i tanti ristoranti del quartiere piazza Fiume dove è segnalato e arresta il 22enne sul posto di lavoro, in via Piave.
Intanto, Matteo Salvini invoca la castrazione chimica, Laura Ravetto chiede di abolire la protezione umanitaria e Virginia Raggi twitta la sua solidarietà alla vittima.
Fulvio Fiano
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Il lavapiatti garbato che amava le feste «Avevo bevuto troppo»
ROMA Dopo lo stupro dietro il distributore di benzina a Castro Pretorio, in pieno centro di Roma, è tornato a casa, nel rione multietnico dell’Esquilino. Ha dormito qualche ora, poi si è preparato per tornare al lavoro. Il presunto violentatore della giovane babysitter finlandese ha la faccia del bravo ragazzo. La fedina penale immacolata e soprattutto un permesso di soggiorno per motivi umanitari che scade alla fine dell’anno. Un insospettabile, insomma. E forse proprio questo lo ha aiutato: a soli 22 anni ha già concluso con successo la lunga trafila che comincia con l’istanza di richiesta di asilo. Una settimana fa aveva anche trovato un lavoro: lavapiatti in un ristorante a due passi da via Veneto.
Sabato sera – meno di 24 ore dopo la violenza – quando i poliziotti della Squadra investigativa del commissariato Viminale hanno individuato il locale e chiesto al proprietario di far uscire il suo dipendente, il ragazzo (del quale la procura non ha voluto rendere noto il nome in attesa della convalida del fermo) si è presentato in grembiule e berretto. Con le mani umide e un mezzo sorriso stampato sul volto. Ancora non sapeva che a tradirlo, oltre ai filmati delle telecamere e al telefonino agganciato alla cella di piazza Fiume, era stata proprio la fotografia sul permesso di soggiorno, riconosciuta sia dalla vittima sia da una coppia di amici della finlandese che l’avevano vista allontanarsi proprio con lui.
«Mentre camminavano la baciava sul collo e lei cercava di mandarlo via con un braccio. Poi li abbiamo persi di vista», hanno raccontato i coetanei che la babysitter aveva chiamato per telefono dopo essere stata violentata. Quel ragazzetto con la faccia d’angelo non le aveva fatto pensare a niente di male quando le aveva proposto di accompagnarla a casa in macchina. Ma lui la macchina non ce l’ha mai avuta. E nemmeno la patente. Era solo una trappola e ora chi indaga vuole capire se è la prima o l’ultima di una serie.
Con le manette ai polsi, il bengalese non ha comunque negato: «Avevo bevuto, ero ubriaco, non mi ricordo niente». Fra i tavolini dello «Yellow Bar» e negli altri locali notturni di via Palestro il volto del lavapiatti è abbastanza conosciuto: frequenta i pub e le discoteche. Pare che non si perda una festa e che sui social circolino anche video in cui appare felice e spensierato, con ragazzi e ragazze di varie nazionalità. Ci sono americane, tedesche, svedesi. Un giovane inserito, integrato. Avrebbe anche un profilo personale sulle chat. Simpatico e «dai modi garbati», lo descrivono in Questura. Nessuno ha mai pensato fosse un violento. Né che bevesse fino a perdere il controllo. Eppure è successo. Anche per questo identificarlo non è stato complicato, ma trovarlo sì. Ci sono volute ore, a casa non c’è quasi mai.
Nell’appartamento, dove il presunto stupratore dorme in un letto a castello, i coinquilini del ragazzo sono stati ascoltati e sono caduti dalle nuvole. Sono venditori ambulanti, sostituti benzinai, camerieri. Tutti connazionali, tutti increduli nell’apprendere che il più giovane si era trasformato in una belva. E sempre in quell’appartamento sono stati sequestrati gli indumenti – in particolare una maglietta bianca – che il ventenne indossava venerdì al pub e che si vedono nelle immagini acquisite dalla polizia: altre prove che inchiodano faccia d’angelo.
Rinaldo Frignani