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 2017  agosto 20 Domenica calendario

Queer British Art 1861-1967. Così Londra celebrava l’amore che non si osava dire

Aveva 29 anni la pittrice scozzese Cecile Walton quando si autoritrasse allungata sul letto in una posa alludente alla celebre Olympia di Manet. A differenza di quella femme de vie, però, la donna distesa non sembra offrirsi ma semmai riflettere sulla propria condizione. Mentre il maggiore dei suoi figli (cinque anni) la guarda in disparte, ignorato, lei stessa contempla un po’ perplessa l’ultimo nato, un lattante che tiene sollevato come per esaminare un piccolo estraneo. Intanto un’infermiera – corrispondente della ancella nera della cortigiana parigina – le massaggia docilmente i piedi.
Quando espose questo quadro, la cui audacia fu commentata nella Edimburgo del 1920, la Walton conduceva un ménage à trois col marito Eric Robertson, pittore, e con Dorothy Johnstone, pittrice anche lei. Qualche anno dopo si separò dal coniuge alcolizzato e andò a vivere apertamente con quest’ultima. Il suo dipinto più noto, ironicamente intitolato Romance, può dunque essere letto come la confessione, neanche tanto sommessa, di una donna che ben consapevole del proprio valore si interroga sul ruolo che ci si aspetta da lei (madre, serva?). Come tale è tra i pezzi pregiati della originale mostra alla Tate Britain (fino al 1° ottobre) «Queer British Art 1861-1967», dove l’aggettivo maliziosamente recupera quello con cui una volta si alludeva ai cosiddetti diversi, prima che il termine «gay» mettesse d’accordo tutti quanti.
Le due date segnano la storia della tolleranza ufficiale dell’omosessualità nel Regno Unito. Nel 1861 la legge che fino ad allora puniva il reato di omosessualità con la morte fu sostituita da una più umana, quella in base alla quale fu condannato nel 1895 (e praticamente ucciso) Oscar Wilde. Questa infliggeva al reo «solo» due anni di carcere duro, che allora voleva dire durissimo. Nel 1967 questa legge, che costrinse generazioni di omosessuali a vivere nel terrore del ricatto, fu finalmente abrogata e gli atti omosessuali tra adulti consenzienti decriminalizzati (l’età del consenso fu peraltro stabilita a 21 anni, e abbassata solo in seguito). Ma la nostra pittrice trasgressiva non avrebbe avuto niente da temere, perché sia il legislatore del 1861 sia i suoi successori avevano preso in considerazione come possibili delinquenti solo i maschi, ignorando del tutto le donne. Sembra che la regina Vittoria, interpellata, abbia detto: «Le donne non fanno queste cose!».
La mostra raccoglie campioni significativi dell’opera di artisti che praticarono e in qualche modo celebrarono, spesso in codice, quello che alla fine del secolo XIX fu definito «l’amore che non osa dire il proprio nome». Sul manifesto c’è la fiera testa del pittore Gluck, al secolo Hannah Gluckstein (1896-1978), che ostentò sempre uno pseudonimo maschile, con un piglio che cercheremmo invano nelle opere del povero Simeon Solomon (1849-1905), squisito disegnatore di efebi vicino ai preraffaelliti, il quale non si riprese mai dall’umiliazione pubblica seguita a un arresto subito nel 1873, quando cadde nella trappola di un agente provocatore in un gabinetto pubblico.
Bei giovani nudi figurano in opere ai loro tempi non sospette di Frederic Leighton (1830-96), William Blake Richmond (1842-1921) e Henry Scott Tuke (1858-1929), di cui è famoso soprattutto il tardo dipinto intitolato The Critics, con due ragazzi di schiena che fissano pensosi le acque di un lago. Non mancano ovviamente gli oggi riprodottissimi, freddi e sarcastici disegni a china di Aubrey Beardsley, egli stesso ritratto da Jacques-Emile Blanche come un dandy poco più che adolescente, guanti, canna da passeggio e fiore all’occhiello, così come campeggia il ritratto di un altro gay iconico, Lytton Strachey, a opera della pittrice bisessuale Dora Carrington, un cui voluttuoso nudo femminile sembra voler rivaleggiare con la produzione erotica a uso dei saloon o dei club per soli uomini. Un altro ritratto finora meno noto, finito a Los Angeles, è quello a figura intera di Oscar Wilde alla vigilia del matrimonio.
Ma più che una definita tendenza artistica e i suoi protagonisti, la mostra vuole rievocare un clima, un periodo, e lo fa esponendo accanto alle opere anche oggetti significativi: non solo fotografie che ricordano personaggi come il travestito Danny La Rue, tanto popolare negli Anni 60, o Dirk Bogarde interprete del film di Basil Dearden «Victim» (1961), ma anche cimeli come una fiammante vestaglia di Noël Coward o come le copertine dei libri fantasiosamente e provocatoriamente manipolate con collage dal futuro commediografo Joe Orton e dal suo partner e mentore Kenneth Halliwell, che dopo qualche anno lo avrebbe ammazzato e si sarebbe suicidato in seguito a una crisi di gelosia paranoide.
I libri appartenevano a biblioteche pubbliche di Islington, e a un certo punto i due erano stati scoperti, denunciati e incarcerati per qualche mese. Tra gli altri cimeli spiccano la scatola di latta piena dei bottoni strappati per ricordo dalle uniformi di vari soldatini, guardie e simili, con cui i membri di un’altra coppia di artisti, Denis Wirth-Miller e Richard Chopping – vissuti abbastanza a lungo per arrivare a sposarsi tra loro – avevano avuto incontri occasionali. E, prestata dal National Justice Museum di Nottingham, una porta di legno proveniente dal carcere di Reading, nonché probabilmente, dice la didascalia, proprio dalla cella di Oscar Wilde.