La Stampa, 20 agosto 2017
Intonaco scrostato e tubi. Casa Verga tra stanze deserte e il bisogno di un restauro
Si firma Giovy, forse un diminutivo per Giovanna. Ma con il suo omonimo maschile Giovanni Verga non sembra avere in comune né stile né ortografia o il genere narrativo. Però ha scelto proprio la strada della casa museo dello scrittore siciliano per lasciare un messaggio d’amore eternato sull’asfalto con bomboletta spray, svolazzi e qualche doppia di troppo. Il destinatario si chiama Alfio. «Ti voglio qui ora. Nel mio letto a vizziarmi. I baci sul collo, il tuo odore intorno...», scrive la donna continuando sullo stesso tono fino a coprire una larga parte della strada.
Il messaggio è lì da oltre due mesi. Alfio lo vedrà ogni giorno al rientro a a casa. Ma anche tutti i turisti che, per entrare nella casa di Verga, non hanno alternative: devono camminare sulle lettere.
«Qua solo si chiovi cu li ciancianeddi ce ne liberiamo», commenta un uomo fermo al bar dell’angolo. «Lassari fari a Diu», aggiunge un altro. In realtà basterebbe un omino con una spazzola di ferro e dieci minuti di lavoro. Ma i catanesi sanno che è più probabile che a cancellare gli svolazzi d’amore sia un temporale o chissà quale intervento divino. Una filosofia di vita in questo palazzo della fine del Settecento dove Verga trascorse l’infanzia e dove tornò a vivere anche da adulto.
L’ultimo restauro degno di questo nome risale agli Anni 80, quando la Regione Sicilia acquistò la casa e la aprì al pubblico. Spesa per l’acquisto: 140 milioni di lire. Spesa per i lavori: 170 milioni. Trent’anni dopo, superato il portone, si attraversa un antro scuro. Sui muri una selva di tubi inspiegabilmente scoperti. Un secondo ingresso si apre su quattro rampe di scale coperte da un triste e lurido tappeto di velluto rosso. Sulle pareti dall’intonaco scrostato si allargano ampie macchie di umidità.
L’ingresso vero e proprio alla casa di Verga è una porta in legno piuttosto signorile al secondo piano. È accostata, come capita negli appartamenti privati quando si aspetta qualcuno o quando il citofono non funziona. Fuori ci sono 40 gradi, è un sollievo essere accolti dalla frescura dell’aria condizionata.
Sono le dieci passate, il museo è aperto da oltre un’ora ma è deserto. I custodi osservano quasi sorpresi la porta che si apre. Lentamente mettono da parte i cellulari su cui stavano giocando. «Il biglietto costa 4 euro», avverte uno dei due andando a sedersi ad una scrivania. «A meno che non abbia un’agevolazione: giornalista, professore, studente...», elenca con la disinvoltura di chi è più abituato a visitatori con sconto che a prezzo intero.
Nel 2016, 9996 persone sono entrare nel museo. In 8113 hanno avuto un ingresso gratuito perché erano studenti in gita o turisti con altre agevolazioni. Meno di 2 su 10 hanno pagato. Vuol dire che in media ogni giorno vanno a visitare la casa di Verga 27 persone, di cui 5 paganti. Incasso totale di 6850 euro. Molto meno del Museo del Carretto Siciliano, ad esempio.
Non un successo, insomma ma il direttore Giovanni Di Stefano è ottimista: «Rispetto al 2015 i visitatori sono in aumento. E stiamo lavorando per riuscire a ottenere un nuovo finanziamento europeo di 2,4 milioni di euro che ci permetta di dare ai visitatori una casa-museo totalmente rinnovata». Sarebbe il secondo finanziamento europeo e il secondo restauro in pochi anni dopo quello da poco concluso di circa 800 mila euro che ha riguardato gli arredi della casa e la creazione di una biblioteca specializzata sul Verismo al piano inferiore».
In attesa del 2020, si apre una porta a vetri che conduce nel salotto, e si viene investiti da una bolla di aria calda. L’aria condizionata si limita all’ingresso. Ne sono di sicuro felici i custodi, ma i turisti proseguono la visita con le stesse possibilità di frescura che aveva Verga: ventagli e correnti d’aria create dalle finestre spalancate.
Forse anche questo è Verismo ma non sempre i visitatori apprezzano. Il 10 agosto su Trip Advisor una turista che si firma «mmmaria123» si sfoga: «Non me la sono goduta perché c’era un caldo pazzesco visto che l’ho visitata in agosto».
Dal salotto si passa alla biblioteca con i libri di Verga. E poi alla stanza da letto e alcune stanze di disimpegno. Quasi ovunque sui soffitti appaiono macchie di umido e aree annerite in corrispondenza delle lampade salvavita. «Sono gli interventi che speriamo di fare con il prossimo restauro», spiega il direttore. Nelle stanze ci sono libri, vestiti, ricordi, tanti oggetti, alcuni anche di grande importanza per chi ama Verga, ma nessuna didascalia: per capire bisogna ascoltare l’audioguida. La visita prosegue, stanza dopo stanza, pedinati da uno dei due custodi incutendo un lieve senso di inquietudine. «Devo accertarmi che nessuno realizzi video per problemi di copyright», si giustifica. Nessun problema, invece, con le foto, assicura.
Il museo non è grande, dopo mezz’ora si è arrivati alla fine. Uscendo le parole d’amore sono sempre lì ma chissà se Giovy e Alfio sono mai andati oltre il portone di Verga. Per fortuna in fondo alla strada appaiono quattro turisti. Se acquistano il biglietto, per il museo è fatta: la media quotidiana di paganti è salva.
(Quarta puntata. Fine)