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 2017  agosto 20 Domenica calendario

Polanski, la saga infinita. Dal processo mediatico al perdono impossibile

Le lunghe braccia di un sistema giudiziario che non si vuole arrendere tornano ad attraversare un oceano di 40 anni e cercano ancora di afferrare Roman Polanski. Non mollano, i giudici americani, che in quell’ottantaquattrenne maestro del cinema vedono più dell’inafferrabile ricercato che ha ammesso di avere fatto sesso con una ragazzina di neppure 14 anni nel 1977 e che ora altre due donne accusano dello stesso crimine. In lui, nel regista franco-svizzero-polacco- apolide, nel premiato da un Oscar che non poté ritirare, nel collega per il quale si sono mosse invano le star di Hollywood da Woody Allen a Meryl Streep, i giudici californiani vedono l’insolente, impenitente straniero che si fa gioco della giustizia americana. E questo marameo non può essere tollerato. La “Polanski Saga”, il romanzo costruito sul crimine vero che non potrà mai essere perdonato, lo stupro di una ragazzina chiusa nella camera da letto della casa di Jack Nicholson a Hollywood e che ha condannato il colpevole – reo confesso – a un esilio autoinflitto per evitare la sentenza definitiva dopo qualche settimana di carcere, ha aggiunto in questi giorni l’ennesimo rifiuto di un giudice californiano, Scott Gordon, a chiudere il caso. Neppure l’arringa della vittima, Samantha Geimer, oggi una signora cinquantaquattrenne con tre figli, che aveva chiesto di chiudere il caso, perché anche lei vive da 40 anni sotto l’ombra giudiziaria infinita che periodicamente la strappa al presente e la riporta a quel giorno su Mulholland Drive nella casa di Nicholson, ha convinto il magistrato. Roman deve tornare negli Usa, affrontare la sentenza e accettare la pena. Il sabba infernale che da quel giorno Hollywood, quando approfittò della ingenuità di una teenager con sogni di modella e del cinismo della madre attrice che l’aveva incoraggiata a incontrare Roman da sola, si è scatenato, con inevitabile allusioni e riferimenti satanici per l’autore di Rosemary’s Baby, ha visto danzare attorno al fuoco politicanti e cineasti, attori e capi di stato, corti supreme di giustizia e partiti. Per un François Mitterrand che lo aveva difeso e ne aveva impedito l’estradizione, c’era un Arnold Schwarzenegger, che come governatore della California avrebbe potuto graziarlo, ma sentenziò che «tutti devono rispondere alla legge, cittadini comuni o celebrità». Nel ghiotto, pruriginoso fescennino organizzato sul caso, si gettarono premier polacchi come Tusk, corti supreme di Svizzera, dove risiede, e di Polonia, partiti di destra come Diritto e Ordine a Varsavia e l’immancabile Marine Le Pen, giustizialista in cerca di voti che lo condannò con ariana fermezza. Mentre agli Oscar, durante la proclamazione della vittoria per Il pianista nel 2003, il suo commovente film sull’infanzia nei ghetti polacchi, tutta Hollywood, maschile, femminile e di diversa affiliazione sessuale si alzò in piedi per tributare “in absentia” un’ovazione a Roman. Un ricercato per avere “fatto illegalmente sesso con una ragazza minore di 14 anni”. Il tempo, però. Il tempo e l’arte possono compiere miracoli di perdonismo, anche se Polanski non ha mai fatto nulla per ingraziarsi i magistrati californiani, che descrisse come una massa di ipocriti «perché tutti quei giudici, come i maschi della giuria, segretamente fantasticano di fare sesso con una ragazzina». Neppure il perdono per sfinimento della prima vittima, di Samantha, che ha cercato di dimenticare, di non ascoltare la deposizione di Polanski quando disse, al primo processo seguito dalla fuga, che «mi sembrava che le piacesse», può bloccare la lunga mano. Non quando altre donne, come l’attrice inglese Charlotte Lewis, lo hanno accusato dello stesso comportamento, nel 1983 e, nei giorni dell’ultimo “nyet” giudiziario, un’altra, identificata dall’avvocata soltanto come Robin, è emersa dal passato per denunciarlo come stupratore. Poche settimane dopo il caso sconvolgente di un’altra superstar dello spettacolo, l’attore afroamericano, Bill Cosby, amatissimo nella sua bonarietà, scampato a una grandinata di denunce per molestie, abusi e stupro portate da dozzine di donne, gli umori popolari non sono generosi. La lunga ombra si dissolverà soltanto con la scomparsa di Polanski, perché nessuno, nella magistratura come nella politica, ha nulla da guadagnare da un perdono, che non potrà mai diventare prescrizione perché le sentenze di condanna non scontate non cadono mai in prescrizione. L’opinione pubblica è contraria al “buonismo” verso questo piccolo, irritante, polemico forestiero che invece i “glitterati”, le celebrità foderate di “glitter”, di lustrini vorrebbero riammesso fra loro e liberato dal giogo. L’America di “pancia”, quella giustizialista e puritana, non dimentica, quando non vuole dimenticare. Ma poi manda alla Casa Bianca un uomo chiamato Trump che si vanta, con la propria voce autentica, di conquistare donne a volontà «afferrandole per (eufemismo) le parti intime».