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 2017  agosto 20 Domenica calendario

La vittoria che preparò Caporetto

A un soffio dalla gloria. Cento anni fa, nell’agosto 1917, mancò davvero poco al successo strategico dell’offensiva militare contro le posizioni austro-ungariche sull’altopiano della Bainsizza, che avrebbe potuto aprire alle forze italiane le porte di Trieste. Se lo sfondamento fosse riuscito, il comandante supremo Luigi Cadorna sarebbe forse passato alla storia come il condottiero che aveva piegato l’Impero asburgico. Invece proprio quella vittoria sfiorata mise in moto il meccanismo che portò alla disfatta di Caporetto, che costò a Cadorna la guida dell’esercito a vantaggio di Armando Diaz e gli ha procurato una cattiva fama nella memoria storica.
Quella di cui stiamo parlando è nota anche come undicesima battaglia dell’Isonzo, il fiume lungo il corso del quale correvano le linee degli schieramenti contrapposti. Per oltre due anni le truppe italiane avevano lanciato ripetuti attacchi contro le ben munite posizioni asburgiche, dieci battaglie appunto. E a parte la presa di Gorizia, nell’agosto del 1916, non erano stati ottenuti risultati di rilievo: la via per Trieste restava sbarrata. In compenso non solo l’esercito si era svenato, con perdite enormi e sofferenze di ogni tipo subite dai soldati nel fango delle trincee, ma tutto il Paese era allo stremo. Nell’agosto 1917, proprio mentre infuriava la battaglia della Bainsizza, a Torino ci fu una rivolta per il pane repressa nel sangue, con decine di morti.
Per venirne a capo Cadorna non lesinò uomini e mezzi, spiega al «Corriere» lo storico Gastone Breccia, autore del libro 1915: l’Italia va in trincea (il Mulino): «Per l’offensiva dell’agosto 1917 furono ammassati 600 battaglioni sugli 880 complessivi di cui disponeva l’esercito, appoggiati da 5.200 pezzi d’artiglieria. L’attacco impegnò nel complesso mezzo milione di uomini su un fronte molto lungo, da Tolmino al mare, ma lo sforzo principale venne compiuto nella zona centrale, sull’altopiano della Bainsizza, con l’intento di raggiungere la selva di Tarnovo e tagliare da nord le retrovie degli austro-ungarici schierati a est di Gorizia».
Il cannoneggiamento di preparazione cominciò il 17 agosto, i fanti partirono all’assalto il 19. Il numero dei caduti fu come al solito impressionante, la resistenza asburgica strenua, ma pian piano l’apparato difensivo nemico cominciò a cedere. «Protagonista dell’avanzata – ricorda Breccia – fu il XXIV corpo d’armata del generale Enrico Caviglia, un ligure nato nel 1862, che varcò l’Isonzo e si addentrò nell’altopiano, fino a occupare la posizione cruciale del Monte Santo. Nonostante la solidità delle loro fortificazioni, tra il 19 e il 24 agosto gli austro-ungarici subirono colpi durissimi e giunsero a un passo dal disastro».
A questo punto però entrò in gioco contro Caviglia l’uomo delle situazioni disperate: Ludwig Goiginger, un generale nato nel 1863 a Verona, quando la città era ancora sotto l’Impero asburgico. Fu lui che, a capo delle riserve, organizzò una linea difensiva arretrata, fuori dalla portata dell’artiglieria pesante, che nel complesso riuscì a tenere il campo.
A dargli una mano, sottolinea Breccia, furono anche gli errori di parte italiana: «Il generale Luigi Capello, che comandava la 2ª armata, era il superiore diretto di Caviglia. Nel momento culminante della lotta, invece di concentrare le forze per appoggiare l’azione del XXIV corpo, preferì allargare il fronte d’attacco verso nord, nell’intento di prendere la minacciosa testa di ponte a ovest dell’Isonzo che il nemico teneva presso Tolmino. Ma c’era stato anche un errore precedente di valutazione, nel senso che il comando italiano aveva trascurato le difficoltà logistiche dell’offensiva: la Bainsizza è infatti un altopiano impervio, povero di strade, per cui dopo il primo slancio divenne assai faticoso, in mancanza di efficienti vie di comunicazione, alimentare lo sforzo dei reparti in prima linea con rifornimenti adeguati. Forse anche per via di questo problema Capello pensò di ampliare il raggio dell’azione. Ma l’unico risultato fu la dispersione di energie già scarseggianti».
Il 29 agosto Cadorna decise di arrestare l’offensiva, che ormai si era inaridita. I combattimenti, molto sanguinosi, proseguirono anche ai primi di settembre, ma si trattava di un’attività di logorio, che non spostava gli equilibri. Alla fine circa 400 dei 600 battaglioni italiani impiegati avevano perso da metà a due terzi dei loro effettivi. E gli austro-ungarici non stavano meglio, anzi. L’obiettivo strategico di investire Tarnova non era stato conseguito, ma le forze di Cadorna avevano conquistato terreno utile in una zona vitale: dalla Bainsizza minacciavano di colpire a morte il nemico con una successiva spallata. Poteva essere la premessa della vittoria finale. Invece fu l’opposto.
Il guaio è che anche gli austro-ungarici, nota Breccia, erano ben consapevoli di quanto delicata fosse ormai la loro situazione sull’Isonzo: «Durante la battaglia della Bainsizza avevano registrato perdite di gran lunga superiori alle loro aspettative, oltre centomila uomini. E si erano convinti di non poter reggere un’altra prova del genere. Erano disperati. Così lo stesso 29 agosto 1917 si rivolsero agli alleati tedeschi per chiedere aiuto».
Si recò in Germania il generale Alfred von Waldstätten, amico personale dell’imperatore Carlo I d’Asburgo, asceso al trono l’anno prima dopo la morte del vegliardo Francesco Giuseppe. E il suo appello venne accolto: «Sul fronte orientale l’ultima offensiva della Russia contro gli austro-tedeschi era fallita in luglio: dopo la caduta dello zar Nicola II, uscito di scena in marzo, quel Paese in preda al caos non costituiva più un pericolo per gli Imperi centrali. Quindi la Germania poteva spostare truppe scelte dall’est sul fronte italiano per prestare assistenza agli alleati in pericolo. Fu un’armata mista austro-tedesca comandata da un generale del kaiser Guglielmo II, Otto von Below, a condurre l’offensiva sferrata il 24 ottobre sull’alto Isonzo contro le truppe di Capello, che portò allo sfondamento di Caporetto».
L’esercito italiano venne messo in rotta e dovette ripiegare sul Piave e sul Monte Grappa, abbandonando al nemico l’intero Friuli e vaste porzioni del Veneto. Il successo della Bainsizza fu dunque un micidiale boomerang? «Certamente sì – risponde Breccia – dal punto di vista italiano. Ma se allarghiamo la prospettiva all’intero conflitto mondiale, dobbiamo concludere che l’Intesa ne ricavò dei vantaggi. Il crollo della Russia, dove presto avrebbero preso il potere i bolscevichi, intenzionati a fare subito la pace con Vienna e Berlino, consentiva alla Germania di sguarnire il fronte orientale per destinare altrove forze ingenti. Il fatto che gli austro-ungarici fossero sul punto di crollare dopo la Bainsizza indusse i tedeschi a intervenire sul fronte italiano. Non ci fosse stata quell’emergenza pressante, avrebbero potuto indirizzare il loro sforzo altrove, in Francia o in Medio Oriente al fianco della Turchia, con ripercussioni pesanti per la causa dell’Intesa».