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 2017  agosto 19 Sabato calendario

La generazione spagnola della jihad

Ancora una volta giovani che uccidono giovani in una guerra ideologica dichiarata unilateralmente. Del secondo attacco jihadista alla Spagna colpisce con forza questo elemento, assieme a talune continuità e discontinuità con quanto accaduto tredici anni fa a Madrid. A Atocha ad agire fu un gruppo, il Gruppo Islamico Combattente del Marocco, legato alla galassia di Al Qaeda. Un attentato strategico, pianificato e organizzato meticolosamente, come nella tradizione delle organizzazioni legate a Bin Laden, mirato a punire la partecipazione spagnola alla guerra in Iraq e destinato a mutare equilibri politici interni ed esterni. Quello di Barcellona, nonostante il comunicato dell’Isis menzioni la lotta contro i paesi della “Coalizione”, assomiglia invece a quanto già visto a Nizza, Berlino, Londra. Jihadismo diffuso, il cui obiettivo da perseguire è la paura per la paura, praticabile con scarsi mezzi e un’organizzazione approssimativa, anche se non meno pericoloso. Questa volta a colpire è una struttura, più larga delle cellule miniaturizzate viste recentemente in azione, impossibilitata a introdurre, o acquistare, esplosivo in Spagna, come mostrano le false cinture indossate dai terroristi uccisi a Cambrils, che punta a trasformare i veicoli in bombe di gas. E che per l’imperizia dimostrata a Alcanar, ripiega sul road jihad d’impatto nelle ramblas. Le discontinuità toccano anche la giovane età degli jihadisti. A Madrid i capi dell’organizzazione erano ultra quarantenni. I membri della cellula catalana avrebbero 17, 24, 22 e 18 anni. A conferma che la radicalizzazione coinvolge sempre più i giovanissimi, in particolare immigrati di seconda generazione, talvolta con doppio passaporto spagnolo e marocchino. Radicalizzazione maturata tra fantasmi coloniali, miti propagandistici, risentimento sociale, disperata ricerca d’identità. Un mix, questo sì esplosivo, che conduce molti a imboccare la via della jihad. Una radicalizzazione che passa anche attraverso la via delle reti corte amicali e parentali, come emerge dal coinvolgimento, pur a diverso livello, di un’altra coppia di fratelli: gli Oukabir. Tra le continuità il legame geopolitico tra Marocco e Spagna e la persistenza di aree territoriali in cui, per diversi motivi, il radicalismo attecchisce maggiormente. In questo senso la radiografia dello jihadismo spagnolo è impietosa. Molti dei foreign fighters maghrebini sono partiti da Ceuta e Melilla, enclave spagnole in Nordafrica, popolate da una componente musulmana in forte crescita demografica. È in quel contesto, bersaglio della propaganda jihadista prima di Al Qaeda e ora anche dell’Isis, che matura un diffuso odio anti-coloniale che fa da lievito all’arruolamento. Le due enclave e la Catalogna, regione ricca economicamente e culturalmente aperta, si confermano, loro malgrado, come hotbeds, “letti caldi”, o aree di radicamento jihadista. Tra i 178 jihadisti arrestati in Spagna negli ultimi tre anni, oltre un terzo è originario di Ceuta e Melilla, il 20 per cento viene da Barcellona e dintorni: anche la cellula in azione nella capitale catalana si è formata a Ripoll, nei pressi di Girona. Oltre il 42 per cento degli jihadisti ha nazionalità marocchina, il 41 quella spagnola. Tra questi metà sono immigrati di seconda generazione, il 40 per cento di prima generazione, il 10 per cento convertiti. Anche tra i fermati di queste convulse ore, uno è originario di Melilla. Un rancore, quello che nutrono verso la Spagna, motivato oggi anche dalla partecipazione iberica alla formazione delle forze armate e della polizia irachena. E dallo stretto rapporto con la Francia nell’Africa subsahariana, in particolare in Mali, dove gli spagnoli assistono le truppe locali nel contrasto allo jihadismo subsahariano. Negli ultimi anni, poi, Madrid ha intensificato la collaborazione antiterrorismo con europei e americani smantellando oltre 40 cellule. Nella visione del mondo jihadista la Spagna non è, dunque, un bersaglio minore ma uno dei molti paesi del campo del Nemico, reo oltretutto di occupare quell’El Andalus, l’Andalusia, che per lungo tempo è stato terra di califfato.