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 2017  agosto 19 Sabato calendario

Il laboratorio dell’11 settembre

Quando se ne sono andate le prime ventiquattro ore di un’indagine con il cuore in gola, il puzzle dello scempio comincia ad avere una forma. E con lui, il profilo, l’origine, le mosse della cellula responsabile del giovedì di sangue. Almeno otto uomini. Tutti identificati con certezza. Sei, morti tra la notte di mercoledì e quella di giovedì. Uno, arrestato mercoledì. Un altro forse ancora in fuga. Tutti di etnia marocchina. Un fungo velenoso ignoto agli archivi dei Mossos d’Esquadra. Cresciuto nell’odio della tradizione salafita in un angolo remoto della Catalogna, a Ripoll, un comune di 10 mila anime nella provincia di Girona, non lontano dal confine con la Francia. Fino a giovedì pomeriggio, un piccolo paese noto per le fucine che nel ‘700 sfornavano armi di precisione artigianali. Da oggi e in avanti, la tana dove le belve della Rambla si sono preparate a dare la morte. Interpellate da Repubblica, fonti di polizia locale e fonti di intelligence consentono, con l’evidente beneficio di inventario dovuto ad un’indagine tutt’altro che conclusa, di dire che tutto è cominciato con un uomo. Tale Abdel Baki Essati. Abdel Baki Essati è un imam radicalizzato che predica odio a Ripoll. Ed è intorno a lui che si stringe una cerchia di ragazzi marocchini. I fratelli Oukabir, Driss (27 anni) e Moussa (18 ancora da compiere). I fratelli Hychami, Mohamed (24 anni) e Omar (ventenne). I ventenni Said Aallaa e Younes Abouyaaqoub. E con loro Mohammed Houlikemlal. Come accaduto per la cellula che, nel 2004, firmò la strage di Atocha, l’11 settembre di Madrid, la cellula di Ripoll non è eterodiretta, non conta su foreign fighters di ritorno. Ha legami non più lontani di quelli che portano a Ceuta, la porta spagnola sul Marocco, la pipeline della predicazione salafita. Nessuno di quei ragazzi è noto agli archivi di polizia europei. L’unico di cui si rintraccia un movimento è Driss Oukabir, ospite di una donna italiana nel viterbese nell’estate del 2014. Tredici anni fa, era Al Qaeda la voce di dentro dei macellai di Atocha. Ora, è la propaganda patinata dei periodici del Califfato. Che, ancora ai primi di agosto, incita a colpire il cuore dell’Europa. Che eccita gli slogan di odio sul suo profilo Facebook dell’altro fratello Oukabir, Moussa, quello che si metterà al volante del furgone assassino della Rambla. Cambia la forma della parola che autoradicalizza, non la sostanza. Non sa, né può immaginare la cellula di Ripoll che, nel giorno del loro martirio, l’odio colpirà anche in Finlandia e Germania. Ma sa che lo Stato Islamico rivendicherà a posteriori le loro gesta. Perché nel franchising del Terrore questa è la modalità. IL LABORATORIO DI ALCANAR La cellula ha deciso di colpire Barcellona. Il suo cuore. E – come dirà pubblicamente il portavoce dei Mossos d’Esquadra, la Polizia catalana, Josep Lluis Trapero – vogliono utilizzare esplosivo. Per confezionarlo, scelgono una vecchia casa di proprietà del Banco Popular in quel di Alcanar, comune a sud di Barcellona. Un porto di mare, dove – noteranno i vicini – è un «via vai di maghrebini». Il piano prevede che gli ordigni siano confezionati con bombole di gas e TATP, il perossido di acetone, la firma del Terrore dello Stato Islamico. Ma qualcosa va storto. Mercoledì sera, 16 agosto, il laboratorio salta in aria. Tutti immaginano una fuga di gas. Nessuno che restano ancora ventiquattro ore per fermare la cellula. Nessuno soprattutto sa che, sotto le macerie della casa, è rimasto sepolto l’Imam di Ripoll, Abdel Baki Essati, il ring leader. Dell’uomo estratto ferito dalle macerie, Mohammed Houlikemlal, nessuno si dà troppa cura. Quando verrà arrestato, la strage si è già consumata. IL CAMBIO DI PIANO L’esplosione del laboratorio- santa Barbara di Alcanar convince la cellula a modificare radicalmente e rapidamente il piano di azione. I due furgoni presi in affitto che dovevano essere imbottiti di Tatp e gas per essere utilizzati come bombe ad alto potenziale, diventano macchine di morte semoventi. Al volante di uno, nel pomeriggio di venerdì, si mette il giovanissimo Moussa Oukabir e semina la morte sulla Rambla. L’altro, viene utilizzato per la sua fuga dalla città. I CINQUE DI CAMBRILS IN FUGA Nella notte tra giovedì e venerdì quel che resta della cellula è stipata in una Audi A3 che, a velocità sostenuta, esce dal centro abitato di Cambrils. Viene intercettata da una pattuglia dei Mossos d’Esquadra e i cinque uomini a bordo vengono abbattuti. Sono Moussa Oukabir, lo stragista della Rambla, i due fratelli Houlikemlal, Said Aallaa e Younes Abouyaaqoub. Per ore, si ipotizza che siano stati fermati poco prima di riuscire a dare la morte nel passeggio del lungomare. Poi, il quadro diventa più chiaro e, soprattutto logico. Le cinture esplosive che indossano sono scariche. Le uniche armi che impugnano e che in parte saranno ritrovate sulla macchina sono bianche (coltelli, accette, asce). «È altamente plausibile – dice dunque a sera una fonte di polizia – che stessero provando a scappare. Forse in un altro rifugio che la cellula aveva. O, forse, avevano intenzione di lasciare il Paese». IL FANTASMA DI ATTA Nella fine dei cinque a Cambrils è come una Cabala del destino. Perché a Cambrils, era il 2001, tutto era cominciato. Sulla via per gli Stati Uniti, qui aveva infatti soggiornato Mohammed Atta, uno degli attentatori suicidi delle Torri Gemelle. Qui, tra il 9 e il 17 luglio di quell’estate di sedici anni fa, Atta aveva con accortezza cambiato tre alberghi, il “Sant Jordi”, il “Montsant y Playa”, il “Monica”, per poter ricevere dalla comunità salafita di Tarragona le istruzioni per le stragi che avrebbero cambiato la storia del mondo. Ora, a distanza di ventiquattro ore dalla strage, la domanda che tormenta gli uomini dei Mossos d’Esquadra è trovare chi, forse, è ancora in fuga. Almeno un uomo, per quel che se ne sa. Per poter dire davvero che tutto si è compiuto. Per non ripetere il canovaccio di Atocha nel 2004, quando i sopravvissuti della cellula si trasformarono in un ultimo grumo di disperazione e odio pronto a colpire ancora.