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 2017  agosto 19 Sabato calendario

Moussa, il baby sitter del condominio e l’attentato con i compagni di calcetto

Nella foto sorride felice, come è naturale per un bambino di sette anni con indosso il vestito della festa. A terra, in mezzo a cornici rotte, vetri, indumenti scaraventati dagli armadi, calpestato come un oggetto di nessun interesse, c’è anche il libretto scolastico. Il ragazzo sospettato di aver travolto un centinaio di persone uccidendone 14, che forse ha accoltellato a morte un automobilista e forse si è fatto ammazzare nella sparatoria finale con la polizia spagnola, aveva buoni voti. Le case messe a soqquadro dalle perquisizioni sono come la punta di una massa fluttuante di ghiaccio. Raccontano dettagli, ma non svelano le esistenze sommerse. La porta dell’appartamento al pian terreno al 27 di Calle Gaudì è divelta. Materassi stracciati, casino totale. Solo il frigorifero è intatto. Il latte acquistato ieri, la vaschetta con gli avanzi di una pasta al sugo e le verdure fresche di una spesa recente possono anche essere prova della scarsa consapevolezza della madre di Moussa Oukabir. Una vecchia maglia dell’Olympique Marsiglia conferma il tifo del figlio per la squadra francese, che gli amici consideravano evidente legame con un padre perduto. Nel libro che usava per insegnare l’arabo ai bambini del palazzo sono segnati i compiti per l’estate. Era il babysitter del condominio, si guadagnava da vivere così. Appena 17 anni. Frequentava l’Istituto tecnico Tomàs Roguer. Giocava nella squadra di calcio a 5. Si trovava con gli amici al campetto dietro a casa sua, all’ingresso del paese, dove le case si diradano, sulla statale per Barcellona. Andavano sempre in Plaça Gran, lunghi pomeriggi ai tavoli della cafeteria Soyol, mischiati agli altri, in un luogo che ha solo cinquecento musulmani su 9.500 abitanti.
Ripoll è Catalogna profonda. Da quasi ogni finestra spunta la bandiera del «Sì» all’indipendenza. È un piccolo mondo lontano dalla metropoli. Prati verdi e boschi, piazze con fontana e stradine strette dove tutti si conoscono. All’improvviso irrompe una realtà conosciuta solo attraverso le cronache di questi anni, accolta con uno stupore sincero. «Che cosa faresti nel tuo primo giorno come re del mondo?» «Ucciderei gli infedeli e lascerei in vita solo i musulmani che seguono la religione». A un’altra delle domande stupide che ogni tanto Facebook rivolge ai suoi utenti, «Cosa faresti se qualcuno ti mente?». Moussa rispondeva così: «Li ucciderei di notte con la pistola». E il posto dove non vivresti mai? «Il Vaticano».
Pilàr Guardia ha tenuto in braccio Moussa quando aveva tre giorni. Come psicologa ha seguito lui e la sua famiglia fino al 2016, quando è andata in pensione. «Il suo profilo di quindicenne non combacia per nulla con quel che sta emergendo oggi». Ma quelle frasi risalgono proprio al 2015, quando Moussa Oukabir, nato a Ripoll il 13 ottobre 1999 da Said e Fatima, entrambi di Aghbala, in Marocco, aveva proprio 15 anni. Nel 2012 Driss, il primogenito, era stato arrestato per reati sessuali. Una volta fuori, aveva lasciato l’appartamento. Lui era il cattivo ragazzo, dal carattere aggressivo e difficile. Moussa era il pezzo di pane, che seguiva da vicino anche la sorellina Fahima, nata con una grave malformazione a una gamba. Il padre lavorava come boscaiolo in Francia fino a quando decise di tornare in Marocco da solo. La madre si era chiusa in se stessa. Sul pavimento del bagno ci sono alcune confezioni di litio. I vicini raccontano che Moussa aveva adibito la stanza lasciata libera dal fratello maggiore a sala da preghiera. «Sapeva che tutti sapevano delle loro difficoltà, e gli pesava». conclude la dottoressa Guardia, che non riesce a farsene una ragione.
Gli sguardi della gente non bastano a spiegare. La strage di Barcellona non verrà ricordata come opera del più giovane dei lupi solitari, ma come una cospirazione portata avanti da un gruppo di amici. Più Bataclan che Nizza o Berlino. I ragazzi del campetto sono ricercati dalla polizia. Probabilmente sono morti nel conflitto a fuoco di Cambrils che per il momento sembra aver messo il punto all’ultimo capitolo di questa infinita filiera di stragi europee. Nell’androne della casa sulla targhetta sotto alla cassetta postale degli Oukabir si legge il nome di Mohamed Hychami, classe 1993, il più anziano di quella che verrà ricordata come la cellula di Ripoll. Stava al terzo piano, ha una figlia di tre anni alla quale spesso badava Moussa. È accusato di aver almeno acquistato il furgone usato a Cambrils per la tentata replica del massacro.
Nel tardo pomeriggio anche la quiete del villaggio finisce sottosopra. In Plaça Grand, in realtà poco più di uno slargo, gli uomini delle forze speciali sfondano il portone di un edificio diroccato. È l’ultimo domicilio conosciuto di Said Aallaa, anche lui diciannovenne, portiere nella squadra di calcetto dove giocavano anche Moussa e Hychami. L’ultimo nome sulla lista inviata dalla polizia all’attonito sindaco è quello di Younes Abouyaaqoub, che era cugino alla lontana dei fratelli Oukabir. Lavorava nel bar dove ora siedono gli altri ragazzi, che assistono alla perquisizione degli agenti come se guardassero un film. Sorridono. Oggi si sentono importanti. «Il piccolo Moussa giocava bene a calcio, non aveva fidanzate, andava con noi al campetto» dice Jawal El Adaoui con una risata. Tutto qui. E forse hanno ragione loro. Sappiamo così poco gli uni degli altri.