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 2017  agosto 12 Sabato calendario

Intervista al regista e scrittore Fausto Brizzi: «Ho sposato una vegana. Ora vi racconto nostra figlia»

Lo avevamo lasciato sposato con una vegana, lo ritroviamo alle prese con la paternità: quasi un anno e mezzo fa è nata infatti Penelope Nina. Fausto Brizzi, 48 anni, regista e scrittore, è tornato in libreria con Se prima eravamo in due (Einaudi, 120 pagine, 13 euro) in cui racconta la prima esperienza da papà. Lo fa alla sua maniera: con aneddoti divertenti e storie di vita famigliare – al limite dell’inverosimile – che lo aiutano ad esorcizzare la paura della nuova veste.
Ha una visione tutta sua del ruolo del papà, ce la racconta?
«È secondario rispetto a quello della mamma, ma la gravidanza è divisa al 50 per cento e quell’esserino, una volta venuto al mondo, fa perdere completamente la testa. Per quanto mi riguarda c’è un corteggiamento in atto: so che devo rimontare una posizione. Il giorno in cui avrà male ai denti e chiamerà papà invece che mamma avrò vinto».
Come è nata l’idea di scrivere il libro?
«Pensavo che il mio precedente Ho sposato una vegana fosse l’unica intrusione nel privato, invece l’esperienza della gravidanza di Claudia e del primo anno di vita della nostra bambina mi ha offerto tanto materiale».
Non vorrà farci credere che è tutto vero?
«Talmente tanto che Einaudi ha chiesto la liberatoria anche a mia moglie, perché in qualche modo è coprotagonista».
Che rapporto ha con la sua bambina?
«Le ho insegnato a fare le capriole a 8 mesi e facciamo il bagno insieme nell’acqua alta. Con buona pace di mia moglie che me l’affida, ma poi si lamenta». Cosa penserà sua figlia quando leggerà questo libro? «Non lo so, è concepito come un regalo per lei. Ho pensato che a me sarebbe piaciuto un sacco avere una cosa scritta da mio padre che mi raccontasse il primo anno di vita. Io ho solo quattro filmini, come tutti credo».
Le due lettere che concludono il libro sono una specie di testamento precoce?
«Sì, è quello che non si riesce mai a dire ai figli, quello che avrei voluto sentirmi dire da mio padre. Abbiamo avuto un rapporto conflittuale, migliorato nell’ultima parte della sua vita».
Perché così complicato?
«Non capiva il mio lavoro. Mi avrebbe voluto avvocato, mi diceva che quello era uno status sociale che rimaneva a prescindere dalle cause vinte o perse, il regista invece è tale solo quando fa film di successo. È stato difficile. Tutto quello che si fa nella vita lo si fa solo per sentirsi dire bravo dai genitori».
Penelope Nina che papà avrà?
«Proverò ad assecondare le sue inclinazioni, cercando di capire cosa vorrà fare. Spero non faccia cinema. Le faccio ascoltare un sacco di musica infatti».
Sua figlia è vegana come sua moglie?
«Sì, ma con l’aggiunta del pesce».
E lei?
«Idem e una volta al mese mi concedo i latticini».
Diventeremo tutti vegani?
«No, siamo la patria della pasta e della pizza, però siamo anche il popolo del compromesso. Pure di quello gastronomico. Ma se provassimo a essere vegani 5 giorni a settimana e poi gli altri mangiassimo tutto, forse potremmo farcela ad avere una salute, una vita e un pianeta migliori».
Lo stile del libro è colloquiale e ironico. Nella vita è così?
«Cerco di prendere sempre il lato buffo delle cose. Non lo faccio solo per mestiere, è il mio modo di rapportarmi alla vita».
Cento giorni di felicità e Se mi vuoi bene, i primi due libri che ha scritto, non sono autobiografici e hanno avuto successo. Perché ha deciso di virare sul racconto della sua vita?
«A un certo punto mi sono accorto che quando uscivo con i miei amici gli aneddoti cinematografici non li appassionavano più, tutti mi chiedevano di Claudia e di come si vivesse insieme a una vegana. Così, nonostante avessi un libro quasi pronto, il mio editore mi chiese di scrivere Ho sposato una vegana. Per quanto riguarda Se prima eravamo in due, il ragionamento è stato identico. Ora, Claudia spera che la smetta di raccontare i fatti nostri».
Lo farà?
«Sì, credo di sì».
Il suo prossimo libro sarà quello che giace nel cassetto da anni ormai?
«Non sarà autobiografico ma di fantasia. Presto per parlarne».
Deve la sua fama al film Notte prima degli esami. Il ricordo migliore della sua maturità?
«Che mi hanno promosso. E non era scontato. Il mio liceo era di fronte agli studi della Dear, dove in quel periodo registravano Drive in. Tra andare a scuola o fare il figurante per me non c’era gara: l’anno della maturità ho fatto 100 ore di assenza. Avevo però la media dell’8, in italiano anche di più, così i professori decisero di ammettermi con tutti 6. Presi 43/60 alla fine».
E il peggiore?
 «Dopo il ginnasio di solito si cambiano i professori, così io decisi di insultarne pesantemente uno, convinto di non rivederlo mai più. Diventò preside e io cambiai scuola».
Ha vinto tanti premi, le piacerebbe averne uno anche letterario?
«I riconoscimenti fanno sempre piacere ma alla fine sa qual è il premio che mia madre si è portata a casa per metterlo in bella mostra? Il Telegatto».
È stato uno dei sostenitori di Matteo Renzi, lo è ancora?
«Sì, penso che per lui ci sarà un secondo tempo. Come nei film. Dove, tra l’altro, di solito è migliore del primo».
Vive a Roma, ha votato per la Raggi?
«No e sono tra gli scontenti del suo operato».
Cosa la delude di più?
«Roma è una città complicata ma credo che a un certo punto bisogni dire “Scusate, non ce la faccio”. Far finta che vada tutto bene non è certo la soluzione. Prima o poi lo sceglieremo un sindaco giusto».
Tifa per la Roma, come ha vissuto l’addio di Totti?
«È una bandiera del calcio. Ormai non ce ne sono più di calciatori legati alla maglia. Sono come i politici cambiano casacca in men che non si dica».
Con la differenza che i calciatori vengono pagati con soldi privati, non pubblici.
«Bisognerebbe fare una legge per impedire ai politici il cambio di gruppo parlamentare durante la legislatura, ma le norme le fanno loro quindi figuriamoci».