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 2017  agosto 12 Sabato calendario

Tamberi eliminato tra le lacrime. L’atletica italiana resta all’anno zero

LONDRA Quando all’altitudine di 2 metri e 31 cm, al terzo e disperato tentativo, l’asticella piomba sul materasso insieme alla frustrazione di Gianmarco Tamberi, allo stadio olimpico l’Italia chiude per ferie. La pista (salvo improbabili miracoli della 4x400 donne), i salti e i lanci, come al Mondiale di Pechino 2015 e all’Olimpiade di Rio 2016, sono terreni arati che continuano a non dare frutti: chiudiamo con zero punti, zero medaglie, zero tituli (copyright riciclato da Mou dal d.t. Elio Locatelli) e moltissime lacrime amare inquadrate in mondovisione dalla Bbc, cui il melodramma italico di Alessia Trost consolata da zia Beitia e Gimbo con i lucciconi persi nel vuoto regala punti di audience. 
Prima di aggrapparci come naufraghi alla marcia di domani (Antonelli, dato in formissima, nella 50 km e Palmisano tra le favorite della 20), avevamo sperato nel guizzo dell’uomo dei miracoli, Gimbo the revenant, capace di rimettersi in piedi con una caviglia rotta e rioperata, di agguantare il Mondiale per la coda, di realizzare in qualificazione la miglior prestazione stagionale (il minimo sindacale che ogni azzurro si dovrebbe sentire in dovere morale di centrare in un evento come questo), quel 2,29 sbranato al secondo salto che di solito basta e avanza per sbarcare in finale contro il sontuoso Barshim e ieri, invece, poiché si è volato altissimo, no. È il primo degli esclusi Tamberi, cui è impossibile voler male, sgambettato da un errore a 2,26 che il cinese Wang – promosso – non commette. E uscire così, accidenti, fa male. «Ho lottato per tornare, ci ho messo l’anima per 365 giorni, non mi sono mai arreso. Mi meritavo un po’ più di fortuna: questo risultato è difficile da accettare».
È sembrato che il deficit di velocità nella rincorsa (accorciata) lo costringesse a forzare lo stacco. Ogni salto, un parto trigemellare. Ma fino a maggio scavalcava appena due metri: «Ho fatto più di quello che valgo, mi sento al 20% delle potenzialità, sono stupito di me stesso: quel 2,29 sa di miracoloso». Si è confermato un animale da pedana, carismatico e indomito; la barba rigogliosa era pronta per l’half shave e la torcida, in curva, a esplodere. Ha il pollice tumefatto per un cazzotto tirato dopo un allenamento: in questa Italia eternamente in transizione che aspetta la crescita dei giovani (Tortu, stra-promosso, Chiappinelli bocciato, Folorunso rimandata con seasonal best, gli altri comparse) e archivia un paio di prestazioni decorose (Re nei 400, non inganni Lingua nella finale del martello, senza speranza) più l’ottimo sesto posto di Meucci nella maratona (non esattamente una promessa ed è strada, non pista), nessuno ci credeva più di Gianmarco Tamberi. Che tra i singhiozzi ha la forza di dire: «Tornerò, lo giuro, più forte».
In un Mondiale terremotato dall’addio di Bolt, nell’anno post-olimpico che si porta sempre con sé qualche scoria, la vecchia Europa sta approfittando delle défaillance altrui: spenta la luce del Lampo, al buio e nel parapiglia, l’Italia della pista rimane al palo, senza approfittarne. Benedetta marcia, se puoi, salvaci tu.