Corriere della Sera, 12 agosto 2017
Agriturismi e mercati, spesa con i buoni pasto
ROMA Nei mercatini, negli spacci aziendali, negli agriturismi. Praticamente ovunque. Perché nella grande distribuzione, nelle tavole calde e nei bar i buoni pasto sono già ampiamente utilizzati. Un decreto del ministero dello Sviluppo economico ne ha esteso l’ambito di utilizzo anche ad attività finora escluse, a partire dal prossimo 9 settembre. Il dicastero guidato da Carlo Calenda ha anche deciso di introdurre la cumulabilità giornaliera dei buoni fino ad un massimo di otto. Finora era possibile usare un solo ticket al giorno, il cui valore nominale è in media di 6 euro, anche se i controlli sono pochi e non è infrequente vedere consegnare alle casse dei supermercati blocchetti di buoni per pagare la spesa.
Nati come servizio sostitutivo delle mense aziendali per i lavoratori assumeranno così sempre più la forma di buoni spesa, tramutandosi in una moneta parallela de-fiscalizzata e de-contribuita fino alla soglia di sette euro per i ticket elettronici, come dispose la legge di Stabilità 2016. Si tratta di una decisione che ha avuto una gestazione piuttosto lunga. Due anni di rimpalli, di pareri contraddittori da parte delle associazioni di categoria e delle imprese di largo consumo. Che finisce per disattendere quanto Camera e Senato ad aprile scorso hanno espresso chiaramente nel decreto correttivo al codice degli appalti. I due rami del Parlamento hanno votato a favore di un innalzamento del valore monetario del buono pasto a 21 euro, come avviene in Francia, sconsigliando la cumulabilità dei ticket. Così non è stato.
La novità preoccupa molto gli esercenti. Secondo Aldo Cursano, presidente vicario di Fipe-Confcommercio, «si alimenta sempre più il sistema speculativo che affligge la filiera dei buoni pasto. Snaturando il valore facciale del ticket e concedendo un maggiore peso negoziale allo Stato e alle aziende private che bandiscono le gare per le società emettitrici di buoni pasto». Queste ultime – per portare a casa clienti importanti come la pubblica amministrazione (tramite la centrale appaltante Consip) e alcune grosse multinazionali – finiscono spesso per presentare offerte al massimo ribasso scaricando il costo a valle. Sugli esercenti. Secondo Cursano «le gare al ribasso si chiudono con un sconto che oscilla tra il 20 e il 22% e qualcuno alla fine lo deve pagare. Il datore di lavoro fornisce ai propri dipendenti un buono da sei euro circa, l’impiegato va nel bar o in pizzeria e consuma per quell’importo, ma quando l’esercente va a riscuotere quel ticket lo trova decurtato almeno del 10%. Pur di avere clienti e non rimanere fuori dal giro lavora sottocosto e in più deve attendere mesi (in media 4, ndr. ) prima di riscuotere i soldi che ha anticipato».
Paolo De Leonardis, consigliere di una società di Qui Group (uno dei principali attori di mercato con Edenred e Sodexo), esprime apprezzamento per la misura «perché dà una maggiore libertà al consumatore» però invita «ad intensificare i controlli sulla cumulabilità dei buoni per non snaturarne il ruolo».