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 2017  agosto 11 Venerdì calendario

Siamo il bancomat degli spreconi

C’è una nuova Iri, finanziata da tutti gli italiani, che presto potrebbe prendersi in carico le sfasciatissime Atac di Roma e Anm di Napoli, o quantomeno rilevare il business che ha portato le due municipalizzate al collasso. È il gruppo delle Ferrovie dello Stato, controllato al 100 per cento dal ministero dell’Economia. Grazie alla guida dell’amministratore delegato Renato Mazzoncini, in carica dal dicembre del 2015, si trova in un felice momento economico e nei mesi scorsi, messo a segno un «risultato netto record» da 722 milioni di euro, ha potuto staccare un dividendo da 300 milioni al suo unico azionista. Il quale con una mano incassa, con l’altra firma assegni al gruppo di piazza della Croce Rossa: la Commissione europea ha contato 2.924 milioni di euro concessi come sussidi di Stato nel 2015 all’intero settore ferroviario italiano, dove Fs Spa, ovviamente, fa la parte del leone. Andazzo destinato a non cambiare: quest’anno, solo in cambio del rispetto degli «obblighi di servizio dell’infrastruttura nonché dell’obbligo di servizio pubblico via mare tra terminali ferroviari», il Tesoro verserà a Ferrovie dello Stato e controllate 976 milioni di euro. Altri 348 milioni faranno lo stesso tragitto «per il trasporto viaggiatori di interesse nazionale» e così via.
Dettagli, comunque. Ciò che importa è che, almeno da un punto di vista formale, le Fs stiano andando a gonfie vele. Tanto da far decidere al governo che è giunto il momento di riequilibrare il karma. A novembre sono state prese le Ferrovie del Sud Est, che operano tra Bari, Taranto e Lecce, la cui situazione, un mese fa, è stata fotografata così dalla Corte dei conti: «Disavanzo economico di 230 milioni di euro, debiti certi ammontanti a non meno di 311 milioni di euro a fronte di crediti certi ed esigibili per 215 milioni di euro, capitale sociale pari a 11 milioni di euro e Tfr pari a 33 milioni di euro totalmente assorbiti per far fronte ai debiti contratti, linee di affidamento esaurite con un debito nei confronti dell’istituto tesoriere per 123 milioni di euro, debiti commerciali per oltre 82 milioni di euro, patrimonio netto negativo per oltre 220 milioni di euro, debiti per oltre 311 milioni e circa 1.400 contenziosi, elevato livello di vetustà dell’armamento della rete». Nel maggio del 2016, per 5,9 milioni di euro, le Fs avevano rilevato l’azienda di trasporti pubblici di Salerno, dichiarata insolvente e divisa in una “bad company” e in una parte “buona”. Quest’ultima adesso fa capo alla controllata delle Fs Busitalia, unica a presentarsi all’asta. Primo impegno assunto con le autorità locali, quello di non licenziare i 480 dipendenti della vecchia compagnia. Siamo ancora agli inizi. Perché a Roma – intesa come Campidoglio, ma anche come Palazzo Chigi – hanno un problema grande 1,35 miliardi di euro: è il debito di Atac, che sta trascinando nell’abisso il Comune. Il governo non ha intenzione di far fallire la capitale e siccome nessun privato è tanto pazzo da intervenire, non resta che rivolgersi alle Fs. I cui vertici non possono certo rimanere sordi al grido di dolore del loro azionista. «Il primo e l’ultimo miglio sono fondamentali per la mobilità del nostro Paese e noi vogliamo essere della partita, certamente anche nella capitale», ha spiegato Mazzoncini. La logica con cui si giustificano queste operazioni è quella delle sinergie, la stessa con cui, nei decenni scorsi, sono stati confezionati gli acquisti di aziende decotte da parte dell’Iri e tanti altri “pacchi” presi dallo Stato. Prima ci sarà l’inevitabile passaggio in tribunale, necessario per abbattere il debito, e a quel punto Atac potrà entrare a far parte del gruppo Fs. L’alternativa, per Mazzoncini, consiste nel partecipare alla gara per il trasporto pubblico romano che il Campidoglio dovrebbe indire entro il 2019. In ogni caso, il sindaco Virginia Raggi ha già fatto sapere che intende difendere i livelli occupazionali: chi prenderà il servizio partirà da un esercito di dipendenti, il 13% dei quali regolarmente assente, e da una situazione in cui un viaggiatore su quattro non paga il biglietto. Tanta generosità ha scatenato le gelosie dell’amministrazione napoletana. La cui azienda di trasporto pubblico, l’Anm, sta messa male, ma con un deficit annuo di “appena” 42 milioni ha ottimi argomenti per pretendere anch’essa il salvataggio da parte delle Ferrovie. Così, raccontava ieri l’edizione partenopea di Repubblica, nei giorni scorsi il braccio destro di Luigi De Magistris, Attilio Auricchio, ha incontrato a Roma Mazzoncini per un «colloquio informale». Durante il quale il manager si è detto disponibile a valutare per Napoli quello stesso intervento che è in programma a Roma. De Magistris ci spera: come i romani, lui e i suoi concittadini avrebbero tutto da guadagnarci. A differenza degli altri italiani, che vedrebbero scaricato sul Tesoro il peso dei disastri romano e napoletano.