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 2017  agosto 11 Venerdì calendario

Con i nuovi satelliti Sputnik vola la space economy

In principio fu lo Sputnik, il 4 ottobre 1957, giusto 60 anni fa. Una palla di alluminio di 58 centimetri di diametro con quattro buffe antenne a stilo, piegate come se nello spazio ci fosse vento (che proprio non può esserci a mille chilometri di altezza): pesava 84 chili circa e fece 1.440 volte la propria orbita mandando un segnale, il famoso «bip bip» che rimase nella Storia. L’impressione fu enorme in tutto il mondo occidentale per le implicazioni militari sottintese dall’impresa, tutto sommato dimostrativa. L’Urss (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), poteva spedire un’atomica ovunque avesse voluto.
A oggi, secondo l’accreditata Ucs, Union of Concerned Scientist, attorno alla Terra girano 1.459 satelliti, al 31 dicembre 2016, ma quelli realmente al lavoro sono molti di meno.
Per quanto strano possa sembrare tenere questa contabilità è particolarmente difficile, oltre al fatto che i satelliti militari delle varie nazioni sfuggono spesso alla conta. Quel che è invece certo è che attorno alla Terra orbitano oltre 30mila pericolosissimi pezzi di mezzi spaziale, di tutte le dimensioni, dai pochi centimetri ai metri di interi satelliti “zombie”. Un pericolo mortale per i mezzi che lavorano attualmente, a cominciare alla Stazione Spaziale Internazionale che con le sue dimensioni, oltre un campo di calcio, è un bersaglio perfetto. La spazzatura spaziale però è un problema che nel prossimo futuro, con l’aumento esponenziale previsto nel numero di piccoli satelliti spediti in orbita, diventerà drammatico.
Accanto agli attori storici, Stati Uniti, Russia e Cina il numero di Paesi che ha spedito in orbita un satellite è sempre più elevato e dà l’idea di come lo spazio sia oramai anche un mercato molto importante nell’economia globale. La space economy è uno dei settori con sviluppo a due cifre negli ultimi anni, e la crescita resterà sostenuta. Per avere un’idea la nostra Agenzia spaziale, Asi, quota 1,4 miliardi il giro di denaro legato allo spazio in Italia, 6mila i lavoratori tutti molto specializzati del settore, e un ritorno di 4 euro per ogni singolo euro investito. Val la pena anche di ricordare che l’Italia, con il suo progetto San Marco, fu la terza nazione a spedire, nel 1966, un satellite in orbita, grazie a un razzo vettore prestato, diciamo così, dai militari americani, ma con tutto personale di terra proprio.
Oggi praticamente tutti i Paesi dell’America Latina hanno uno o più satelliti, lanciati in collaborazioni con Stati che hanno lanciatori a disposizione, come Usa, Russia, India, Europa, Cina. L’Australia, per andare nell’altra parte del mondo è nelle stesse condizioni, ma anche l’Algeria e la Libia, l’Indonesia e la Turchia. Anche l’Africa centrale sta entrando nella partita, proprio nei giorni scorsi è stato messo in orbita un satellite del Ghana, un piccolo cubesat, dimensioni di una scatola da scarpe, con il compito di sorvegliare le coste del Paese e servire da laboratorio di astronautica per le università del Paese. Insomma, si fa prima a elencare i pochi Paesi al mondo che, in qualche modo, non hanno spedito nello spazio, e ora operano, un satellite in genere per telecomunicazioni o per la sorveglianza del proprio territorio. I budget a disposizione delle varie Agenzie spaziali sono molto diversi, il satellite del Ghana può costare, volo compreso, meno di 50mila euro, mentre il bilancio Nasa, anche se l’Agenzia non è fra le favorite dal presidente Trump, viaggia comunque sui 13 miliardi di dollari. Interessante per noi italiani il fatto che gli ultimi due governi abbiano riconosciuto l’importanza del settore e della cosiddetta space economy, aumentando in 5 anni il budget a disposizione della nostra Agenzia Spaziale, da 550 ai 900 milioni previsti per il 2019.
Il fatto è che la nostra vita quotidiana dipende oramai in modo indissolubile dallo spazio, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Con un po’ di attenzione possiamo capire che il Gps che abbiamo in auto, o nel telefono, dipende dalla costellazione americana del Global Positioning System, ma fra poco potremo usare al 100%, con un minimo di orgoglio, il sistema europeo Galileo, ancora più accurato e formato da una costellazione di 30 satelliti pronti a dirci dove siamo e che ora sia con precisione incredibile. Possiamo poi capire che le telecomunicazioni, quando parliamo, per esempio, con gli Stati Uniti, possono passare dai tantissimi satelliti che fanno solo questo, e senza i quali sarebbe un bel problema anche solo telefonare, per non parlare poi della televisione, anzi delle migliaia di televisioni che vengono rimbalzate e irradiate in tutto il mondo e che ci permettono di vedere la nostra di casa anche in capo al mondo. Ma c’è molto, molto di più di quanto ci interessa direttamente ne nostri bisogni quotidiani. La Terra è costantemente sorvegliata nelle sue risorse, nel suo stato di salute, nei movimenti della popolazione, fondamentale l’utilizzo di satelliti per migliorare la agricoltura, il commercio, per combattere gli abusi, soprattutto l’inquinamento di mari e foreste ma anche quelli edilizi, per reagire alle emergenze umanitaria. Senza parlare delle tragedie in mare cui ci siamo purtroppo forse assuefatti, ricordiamo che proprio il nostro Paese ha a disposizione una costellazione di quattro satelliti, CosmoSkyMed, che utilizzano il radar per “vedere” anche di notte e attraverso le nuvole, che sono stati utilissimi per i primi soccorsi in tante calamità naturali, dai terremoti in Cina a quelli, purtroppo, nel nostro Centro Italia.
Accanto ai grandi satelliti, come quelli appena citati, che possono arrivare a molte centinaia di chili e a dimensioni di vari metri, ne esiste oggi una varietà incredibile, da quelli fai da te, come il GhanaSat-1, lanciato il 7 agosto scorso, del costo di poche migliaia di dollari e dimensioni 20x20x10, a quelli di dimensioni appena maggiore e peso sui 50 chili via via fino ai medi satelliti, sui 300 chili. Insomma lo zoo dello spazio è popolato da tanti diversi oggetti, con dimensioni e costi molto diversi.
Qui si innesta una nuova branca del mercato dello spazio: non più solo la costruzione del satellite stesso, affidata per anni dagli Stati a poche selezionate ditte, ma l’apertura di una gara molto ricca aperta a chi riesce a portarli in orbita a minor prezzo e con criteri di assoluta sicurezza. Ecco quindi che entrano in gioco Paesi come Cina e India, capaci di fare un prezzo al chilo, e non è una battuta, la metà di quello proposto da Stati Uniti ed Europa se si tratta di portare un satellite in orbita bassa, qualche centinaio di chilometri, mentre la Russia è imbattibile al momento per il trasporto di esseri umani: con il vecchio ma sicuro Soyuz, rivisto varie volte dagli anni 60, è l’unica a portare alla Stazione Internazionale equipaggi umani a 50 milioni di dollari a viaggio, non proprio economico. Una forte concorrenza nel settore lanci, quindi, e anche qui l’Italia ha visto giusto, grazie ad Asi e Avio, industria di punta del settore da un anno circa quotata in borsa. L’Europa infatti ha come lanciatori Ariane, fortemente voluto dalla Francia e da loro realizzato in grandissima parte, che porta carichi medio pesanti e l’ottimo Vega, per carichi medi, voluto e sviluppato invece dal nostro Paese, anche se ovviamente ora l’etichetta è europea. Proprio nei giorni scorsi è partito con il decimo volo di Vega dal 2012 il satellite militare italiano OptSat3000, e il vettore va così bene che nel prossimo piano europeo, 2012-25, se ne prevede l’utilizzo di altrettanti. Su questa fetta di mercato si sono però inseriti ora imprenditori privati, grazie all’apertura del settore voluta nella prima presidenza Obama. I costi sono crollati e, come vedremo, le tecnologie sono avanzate in modo inaspettato.