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 2017  agosto 11 Venerdì calendario

Roma set sempre meno aperto. La Città Eterna non ama più il cinema

Bella e impossibile. Sempre di più. Per mille, diversi motivi. Che vanno dai complessi iter burocratici al crescente degrado ambientale. La tradizione della Roma estiva, svuotata di residenti e riempita di set, si scontra, quest’anno, con una valanga di problemi, vecchi e nuovi, che hanno spinto registi da grande platee a lanciare desolate grida di dolore.
I dati diffusi dall’ufficio del Comune che si occupa di concedere le autorizzazioni per le riprese cinematografiche e fotografiche indicano un calo costante, basta dire che nel 2017 le richieste avanzate sono state 1.248 e i permessi concessi 1.021: «È vero – dice Vincenzo Vastola, capo del Dipartimento delle Attività culturali di Roma – non c’è stato un particolare incremento, anche se il numero delle produzioni è aumentato».
«Un timballo pesante»
E dire che, da un film girato a Roma, avrebbero tutti da guadagnare, non solo sul piano economico, ma anche su quello, fondamentale, dell’immagine: «Ereditiamo un sistema fortemente condizionato da prassi che viaggiano in maniera molto antica – spiega ancora Vastola -, Roma ha un tessuto peculiare, su cui pesano i pareri della Polizia, dell’Unesco, della Sovrintendenza, insomma è un timballo bello pesante. Comunque ci siamo attivati per analizzare i processi e per promuovere l’automatizzazione delle varie fasi, in pratica per semplificare. Già in autunno dovremmo avere un programma che consenta di dare risposte alle produzioni in tempi ragionevoli, insomma puntiamo a procedure più friendly nei confronti del mondo del cinema».
Usare Roma come personaggio o sfondo di un film comporta ostacoli su tutti fronti. Da quelli legati agli «oneri richiesti quando si filmano beni ambientali vincolati» perchè, se si inquadrano monumenti, bisogna «versare giuste tariffe per il diritto d’immagine», a quelli dovuti alla difficile situazione ambientale. Prima di ottenere una buona inquadratura bisogna preoccuparsi ogni volta del cassonetto ricolmo di immondizia, della macchina parcheggiata male, del fondo stradale inadeguato. E poi c’è il rapporto con i cittadini, non proprio idilliaco.
Carlo il triste
L’altra settimana, in una pausa della lavorazione di Benedetta follia, Carlo Verdone si è sfogato (anche se dal Comune fanno sapere che la sua casa di produzione, la Filmauro, ha inviato una lettera di ringraziamento per il modo in cui la sua troupe ha avuto la possibilità di lavorare) : «Sono molto triste per quel che riguarda questa città. Che è stata grande e, in questo momento, non lo è più. O, almeno, ci vorrà parecchio tempo per farla tornare così». Gli esempi negativi sono tanti: «L’altro giorno mi sono imbattuto per caso in due pozzanghere molto grosse, piene d’acqua, tanta acqua, ma nessuno riparava niente, e questo con tutto il problema della siccità e con il Lago di Bracciano che viene prosciugato». Il punto è nelle abitudini: «Se tu un salotto lo fai elegante, lo tieni bene, la gente non butterà le cicche per terra e non entrerà con le scarpe sporche perchè vedrà che tutto è pulito e in ordine. Qualunque città ho visitato, Germania, Lussemburgo, Romania, ho trovato situazioni diverse».
Per girare al Pantheon bisogna prendere precauzioni: «Arriviamo molto presto di mattina, prima che inizi il traffico, prima che arrivino i pittori e i pittorelli, i camion dell’Ama, i carretti ambulanti delle bibite. Certo, è un orario di negozi chiusi, ma l’unica maniera è questa. D’altra parte come ha fatto Sorrentino a girare La grande bellezza? Sempre così, senza le macchine e tutto il resto».
In alcuni quartieri è stato più facile che in altri: «Al Ghetto è andata benissimo, abbiamo avuto riprese per un sacco di tempo, ci hanno accolto in modo ottimo, abbiamo trovato molta collaborazione, come stare su un’isola a parte». Per Verdone Benedetta follia è «il primo film girato nella Roma elegante del centro storico: finchè è notte uno se la cava, ma francamente di giorno sei malvisto». E se lo dice un campione di romanità illuminata come lui, vuol dire che, forse, tra disagi e disservizi, quella in pericolo è l’anima stessa della città.