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 2017  agosto 11 Venerdì calendario

Barnard, un rubacuori per il primo trapianto

Il 3 dicembre 1967 il cuore di Denise Darvall, una ragazza di 25 anni morta in un incidente stradale, incomincia a battere nel petto di Louis Washkansky, 54 anni, malato di diabete con una patologia cardiaca terminale. Il cuore aveva solo cambiato reparto, dalla rianimazione alla chirurgia. Sia Denise sia Louis erano ricoverati al Grote Schuur Hospital di Città del Capo. Qui da anni Christiaan Barnard, chirurgo brillante e ambizioso, si esercitava trapiantando cuori prima tra cani – più di cinquanta tentativi, tutti falliti – e poi tra scimpanzé, orangutan e babbuini.
La grande occasione
Il 2 dicembre gli capita la grande occasione: dopo la morte cerebrale, il cuore sano di Denise batteva inutilmente mentre quello di Louis stava per fermarsi. In dieci frenetiche ore Barnard ottiene il consenso dei parenti di Denise Darvall, preleva il cuore della ragazza e lo mette al posto di quello di Louis Washkansky. È una «prima» assoluta.
La notizia scuote il mondo, occupa le prime pagine dei giornali, monopolizza le televisioni, va sulle copertine dei rotocalchi. Nel 1954 a Boston Joseph Murray, poi premiato con il Nobel per la Medicina, aveva eseguito il primo trapianto di rene, perfettamente riuscito. Ma il cuore nell’immaginario collettivo è un’altra cosa: per l’uomo della strada è ancora la sede dei sentimenti, delle emozioni, dell’amore. Per di più ora un cuore femminile palpita in un corpo maschile.
Di colpo Barnard diventa l’uomo più famoso del pianeta, conquista le copertine di Time e di Life. Eppure non è un successo: Washkansky muore 18 giorni dopo il trapianto: non ha resistito al rigetto dell’organo e a una polmonite causata dai farmaci immunosoppressivi. Nella sua autobiografia Barnard annoterà freddamente: «All’alba, l’ultimo battito del cuore trasformò Washkansky dal paziente più profondamente amato e meticolosamente curato in un reperto patologico».
Secondo tentativo
Andrà meglio la seconda volta: Philip Blaiberg, 58 anni, dentista in pensione, riceve da Barnard un cuore nuovo nel gennaio 1968, lascia l’ospedale e sopravvive per 19 mesi. Intanto si scatena la gara ai trapianti cardiaci: gli americani Michael DeBackey e Denton Cooley sono i grandi rivali di Barnard, che non risparmia commenti acidi, specie nei confronti di Cooley. Questi ricambiava denunciando le slide di ragazze sexy che Barnard inseriva nei seminari scientifici per tener desta l’attenzione dell’uditorio. La fama mondiale, interagendo con un carattere esibizionista, lancia Barnard nel jet set, e sono ancora questioni di cuore, ma non da sala operatoria. Del 1968 è l’avventura con Gina Lollobrigida, conosciuta durante un soggiorno in Italia che portò il chirurgo a incontrare anche Paolo VI e l’alpinista Walter Bonatti. Gina aveva allora 41 anni, lui 46. Tutto inizia con un «accenno di sorriso» che lei gli rivolge («a ghost of smile», letteralmente un fantasma di sorriso). Nelle sue memorie Chris è poco galante ma sensibile al fascino della Bersagliera: «Benché fosse certamente vicina ai quarant’anni, appariva come una piccola studentessa con i capelli bruni che le coprivano quasi completamente la fronte… aveva un trucco molto leggero, affascinanti occhi scuri, labbra carnose». Durerà il tempo sufficiente a riempire di pettegolezzi la stampa rosa. Seguiranno innumerevoli storie con stelle e stelline, paparazzate, notti allegre nei club romani e parigini, e una simpatia per Sophia Loren, che l’amico Peter Sellers gli presenta come «la donna più incredibile, provocante e bella che abbia mai incontrato».
Tutti i salotti importanti si contendono il chirurgo del cuore. Balla con Grace di Monaco e con «dozzine di belle donne» pur conoscendo «solo i passi base del foxtrot, del walzer e del tango», non si nega a nessuna comparsata televisiva, dovunque vada lo acclamano come un santo laico capace di miracoli. Ad una conferenza è travolto da un centinaio di giovani madri che gli chiedevano di visitare i loro bambini. Innumerevoli flirt costellano una vita sentimentale iniziata sposando nel 1948 l’infermiera Aletta G. Louw, che conobbe mentre faceva pratica in ospedale (gli darà due figli), proseguita nel 1970 andando a nozze con la diciannovenne ereditiera Barbara Zoellner (altri due figli, divorzio nel 1982) e conclusa con la bellissima modella Karin Setzkorn, lui 68 anni, lei 18 (ancora due figli, divorzio nel 2000).
Ambizioso
Pur in mezzo a tanto via vai femminile Barnard frequenta la sala operatoria. L’ambizione e la voglia di competere lo tengono sulla breccia. Senza reticenze dichiara: «Il motivo per cui non ho vinto il Nobel per la Medicina è che sono un sudafricano bianco». Come assistente ha sempre il fratello Marius, di cinque anni più giovane, di idee progressiste. Cerca sempre primati. Nel 1969 Dorothy Fischer è la prima donna di colore a ricevere un cuore. Fallisce uno xenotrapianto su una bambina e viene duramente attaccato dai genitori ma è di nuovo lui il primo a trapiantare un cuore prelevato da un donatore lontano (1975). Quando nel 1983 l’artrite gli blocca le mani, scrive un libro in difesa dell’eutanasia e si dedica alla geriatria smerciando una improbabile crema di eterna giovinezza che verrà ritirata dal commercio. Muore il 2 settembre del 2001 per un attacco di asma.
Un pioniere
Le ombre non devono far dimenticare che Barnard fu comunque un pioniere. Quando eseguiva i primi trapianti la Harvard Medical School non aveva ancora fissato i criteri per stabilire la morte cerebrale. Operava senza conoscere i meccanismi del rigetto, scoperto negli Anni 40 dal futuro Nobel Peter Medawar. Non esistevano validi farmaci immunosoppressivi – la ciclosporina arriva nel 1979 – e Folkert Belzer non aveva ancora inventato la «soluzione Wisconsin» per conservare gli organi durante il trasporto, né esisteva una organizzazione per l’analisi della compatibilità tra donatore e paziente trapiantato.
E oggi? Oggi la prospettiva è diversa. Lo xenotrapianto (organi di animali trasferiti nell’uomo) sembra una strada chiusa, i trapianti di rene appaiono banali, quelli di cuore e di fegato sono quasi «routine», la sopravvivenza raggiunge percentuali altissime, il francese Alain Carpentier ha messo a punto un cuore meccanico impiantabile che pesa 900 grammi e pulsa per 5 anni senza ricarica. Ma la ricerca va in un’altra direzione: con la medicina rigenerativa resa possibile dalle cellule staminali, si esplorano soluzioni che forse tra qualche anno relegheranno i trapianti nella preistoria.