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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Mister Roberto De Zerbi: «La mia idea di calcio tra Bielsa e Pep». Intervista

Roberto De Zerbi, dicono che lei sia pazzo.
«Lo so, ma non è così».
È andato via da Foggia dopo aver entusiasmato, è finito a Palermo, non il massimo per un allenatore, sembrava cosa fatta al Las Palmas, ma alla fine non si è concretizzata.
«In effetti sembra un romanzo di avventura. Ma la verità è che ho solo imparato, ad esempio a non accettare tutte le offerte. Molti firmano e poi vedono come gira, io mi sono imposto di fare il contrario: aspetto un buon progetto sportivo».
Dicono che non parla mai. Insomma, che se la tira.
«Non mi piace apparire, preferisco far parlare la squadra. La comunicazione deve essere curata in relazione al lavoro, non per spolverare la propria immagine».
Dicono anche che non è andato d’accordo con le società perché fa un po’ troppo il dirigente.
«Falso anche questo, non ho mai preteso un giocatore, né che i club facessero operazioni fuori portata. Sono solo un professionista che lavora al 100% e in cambio pretende coerenza e fiducia».
Cosa sta facendo durante questi mesi senza squadra?
«Studio, guardo partite e assisto agli allenamenti dei grandi tecnici in giro per l’Europa. Si lavora anche quando non si è in panchina».
I suoi «modelli»?
«Bielsa e Guardiola, gli unici con cui dopo aver parlato, alzi le mani e ti levi il cappello. Bielsa lo chiamano “Loco”, matto, ma forse sono gli altri ad esserlo. È uno scienziato del calcio, oltre che una persona d’altri tempi. Guardiola invece è più un artista. Entrambi hanno in comune un segreto: sanno spiegarti il perché delle cose che fanno. Non è che posso copiare un’esercitazione di Guardiola e la mia squadra va come la sua: devo capire perché la faccio, e saperla spiegare non una, ma cento volte ai giocatori».
È vero che andò a Monaco a vedere gli allenamenti di Pep?
«Sì, invitò me e Gattuso per una settimana quando allenava il Bayern. Vidi all’opera un uomo con una passione sconfinata. Ci disse che aveva calcolato il tempo in cui riusciva a non pensare al calcio: 40 minuti al giorno! Dopo una seduta, nel suo ufficio, ci mostrò tutto quello che aveva programmato: un fiume in piena, non osavamo dirgli che era ora ormai di andare a dormire».
Lei sembra ispirarsi a Guardiola. Chi ha visto il suo Foggia lo sa.
«Al secondo anno perdemmo la finale playoff per la B con il Pisa, ma penso di aver lasciato qualcosa di più importante dei risultati. Ero arrivato che allo stadio andavano solo 2mila persone, l’ho lasciato pieno, in città i bambini mi fermavano vestiti con la maglia del Foggia. Eravamo in Lega Pro ma per la passione che c’era sembravamo in A».
Il suo obiettivo era un’utopia: produrre un calcio di massima qualità con una squadra di Lega Pro.
«Dopo tre partite mi dissero: «Roberto, così non va, in Lega Pro non si vince giocando un bel calcio». Risposi che non avrei cambiato una virgola: un successo ottenuto con le barricate non mi appaga. Certo, ben venga l’eccezione, ma che non sia una regola».
Peccato sia finita male...
«Rifiutai le categorie superiori per rimanere, ma alla fine avevo vedute diverse rispetto alla dirigenza. Poi organizzarono una conferenza in cui annunciavano il mio rinnovo quando in realtà non avevo firmato nulla. Non lo feci perché mi interessava il progetto: in quello mettevo la faccia. Ma non ho rimpianti, è un capitolo chiuso e auguro le migliori fortune al Foggia».
Così è arrivata la chiamata del Palermo, un doppio balzo fino alla A.
«Quando Zamparini mi contattò, un anno fa, mi sembrava presuntuoso rifiutare a 37 anni una chiamata in A. Accettai perché volevo misurarmi, anche se era una squadra costruita da altri, dove sarei arrivato senza aver fatto il ritiro. A gennaio, dopo avermi esonerato, mi richiamò, ma rifiutai, pur sapendo di perdere soldi».
Credeva che quel Palermo potesse salvarsi?
«Sì, la qualità era simile a quella delle altre in lotta per la salvezza. Era però necessario coinvolgere l’ambiente. Credo che la città fosse pronta, non lo era la società».
Il rapporto con Zamparini?
«Mai avuto problemi. Il presidente è una persona squisita dal martedì alla domenica, da gestire il lunedì perché dopo le partite chiamava questo e quello per farsi dare dei pareri, creando confusione. È solo mal consigliato».
Perché non è andato al Las Palmas?
«È una squadra su misura per il mio calcio, di qualità, abile nel possesso. Avevo accettato ma i tempi della risoluzione con il Palermo sono stati lunghi, più di quanto il Las Palmas poteva permettersi. Così hanno annunciato un altro tecnico. Tutto normale, nessuna divergenza: visto che non sono pazzo?».