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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Sfida nel Mar Mediterraneo. La partita tra italiani e libici

«È una unità della Marina libica» quella che avrebbe rivolto un paio di raffiche di mitragliatrice in direzione di un’imbarcazione della Ong Open Arms, lunedì scorso a 12,8 miglia dalla costa. Alcuni funzionari marittimi libici hanno esaminato il filmato e sarebbero giunti alla conclusione che la vedetta interessata apparterrebbe alla flotta della Marina militare. «Sarebbe partita dal porto di Abu Sitta», spiegano facendo riferimento alla base navale tripolitina divenuta celebre per l’audace approdo di Fayez al-Sarraj nell’aprile del 2016, quando si insediò nella capitale libica dopo la designazione dell’Onu.
L’identificazione e la provenienza della vedetta tuttavia poco cambiano nella sostanza la necessità di evitare «far west» gratuiti nel corso delle attività di contrasto al traffico illegale di esseri umani. Un aspetto che riguarda i tre i corpi che di fatto si occupano della sicurezza dei mari e dei porti. Due fanno capo al ministero della Difesa, e sono Marina militare e Guardia costiera, a cui è estesa l’attività di addestramento e supporto da parte dell’Italia. La Marina ha competenze relative in particolare alla sicurezza che si estendono per tutto il tratto di mare che rientra sotto il controllo del governo di Accordo nazionale di Fayez al Sarraj. La Guardia costiera invece opera in maniera compartimentata, come spiega il portavoce Ayoub Omar Ghasem, secondo cui da Sirte sino al confine con la Tunisia «le zone di pattugliamento per intercettare migranti vengono suddivise in tre settori di competenza distinti». Ci sono poi le Forze speciali di sicurezza che dipendono dal ministero dell’Interno libico e si occupano della tutela del porto di Tripoli e delle zone circostanti dal 2011. Contano un organico di 153 uomini guidati da Taha Moahammed Almusrati e non rientrano nel programma di addestramento italiano. «La priorità è organizzativa – ci spiegano da Tripoli – coordinare le attività, creare un codice omogeneo, con regole di ingaggio comuni ed evitare incidenti, minimizzando perdite e scontri». Insomma evitare il «far west» del mare che porta a episodi come quello di lunedì o a conseguenze peggiori. E sarà proprio questo uno degli obiettivi da raggiungere con l’addestramento italiano e l’aiuto chiesto da Sarraj all’Italia, sulla base del quale ieri è arrivata nella base navale di Tripoli la nave militare di supporto tecnico «Tremiti» con l’obiettivo di assicurare assistenza tecnica e logistica alle forze libiche. La nave Tremiti ha cominciato lavori di manutenzione di navi e motovedette della Marina libica, come previsto dal programma bilaterale. Ed è proprio sul termine bilaterale che occorre soffermarsi, sottolineano in Italia, evidenziando «la natura di accordo diretto con un altro Stato».
Questo in merito a presunti contrasti che ci sarebbero stati nell’ideazione dell’intervento. «Quando si modula una missione per le aree di crisi, bisogna fare i conti nella misura in cui occorre ridislocare mezzi e personale impegnati su altri fronti», spiegano fonti vicine ad ambienti militari. «È vero che in questo caso le ipotesi erano più d’una, alcune più robuste, quindi con impegno di mezzi e di navi maggiore, ma richiedevano un disimpegno su altri versanti. Sino all’opzione di un impiego meno importante ma con la possibilità di mobilitare forze impegnate altrove in caso di necessità, grazie anche alla vicinanza della Libia. «Una volta stabilito che la necessità era di rinforzare e supportare la Guardia costiera libica consentendo di aver maggiore praticità e dimestichezza nel condurre determinate operazioni, si è optato per la soluzione più adatta», spiegano.
E a scanso di polemiche viene sottolineato come «non ci sia stato un cambiamento radicale nella scelta finale rispetto a quello che era stato proposto» dai tecnici della Difesa. Chi invece vuole avere ulteriori spiegazioni sulla missione italiana è il vice presidente del Consiglio presidenziale libico Fathi Al-Mejbari (lo stesso che aveva parlato di violazione alla sovranità della Libia), che ha dato un ultimatum di 72 ore a Sarraj perché convochi il consiglio dei ministri per discutere dell’accordo siglato con l’Italia. «Una voce sempre più isolata – suggeriscono da Tripoli – rispetto a chi non vuole vedere più far west davanti alla Libia».