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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Kenya nel caos dopo le urne. L’opposizione: voto falsato

Un omicidio eccellente, una misteriosa scomparsa e la denuncia di brogli elettorali. Sono solo alcuni degli ingredienti delle elezioni kenyane. A niente è servita la supertecnologia proveniente dalla Francia. A niente l’appello alla pace di Barack Obama e del suo ex segretario di Stato, John Kerry, presente ai seggi come supervisore. Uhuru Kenyatta, 55 anni, ha ottime probabilità di essere il prossimo presidente del Kenya, al suo secondo mandato. Il leader dell’opposizione, suo storico rivale dal 2013, Raila Odinga, 72 anni, sta per perdere per la quarta e ultima volta. Una quinta non ci sarà. Sono bastati i risultati parziali per scatenare la sua rabbia e quella di centinaia di suoi sostenitori scesi in piazza disarmati al grido di «No Raila, no Peace». La polizia li ha dispersi e quattro persone sono morte. I due candidati si scontrano da sempre. Due etnie diverse, tra le dominanti nel Paese: i kikuyu, quella del presidente, e i Luo, quella di Odinga. «Viva il Kenya». Questo è stato uno dei pochi tweet di Uhuru Kenyatta nel giorno delle elezioni, a parte la foto postata al seggio elettorale. Odinga invece colleziona sconfitte e sfortune. Nelle elezioni del 1997 è arrivato terzo, nel 2007 e nel 2013 secondo. Nel 2013 ricorse alla Corte Suprema e perse di nuovo. I testimoni avevano ritrattato all’ultimo momento. Quest’anno ci risiamo. Nonostante le nuove tecnologie e le garanzie della Commissione elettorale sulla trasparenza e sicurezza del voto, Raila contesta i risultati delle elezioni che secondo lui sono stati falsati da un attacco informatico contro il sistema della commissione elettorale. «È una frode. Ora sappiamo perché Chris Msando è stato assassinato». La morte, pochi giorni fa, di Msando – uno dei personaggi chiave della supervisione del voto tecnologico – è solo uno dei misteri di queste elezioni L’altro riguarda la “deportazione” del canadese Andreas Katsouris, consulente di Odinga, che ha denunciato di essere stato portato via con la forza dall’albergo a Nairobi in cui alloggiava. Incappucciato e trascinato a bordo di un Suv da sei uomini armati, il giorno prima delle elezioni, è stato imbarcato sul primo volo per il Canada. Nessuna spiegazione. A Uhuru Kenyatta, figlio del primo presidente dell’indipendenza, va riconosciuto un aumento del Pil del 6,5% contro l’1,4 degli altri Paesi subsahariani. Grazie a lui è nata la “Silicon Savannah”, una piccola Silicon Valley del Kenya. Ha anche attirato nel Paese una discreta quantità di investitori. Tra questi anche cinesi: 3,2 miliardi di dollari in infrastrutture. Un bene, non fosse che il debito ha superato il 55% e che la gente ora sta morendo di fame e sete per il rialzo dei prezzi dovuto alla siccità. E poi la corruzione: il Kenya occupa il 145esimo posto nella lista dei paesi più corrotti al mondo, su 176. In più, Kenyatta e il suo vice sono stati ritenuti i registi del massacro del 2007. Indagati per crimini contro l’umanità, sono stati poi prosciolti dalla Corte Penale Internazione dell’Aja a causa di assenza di prove. Anche in questo caso, i testimoni avevano ritrattato all’ultimo.