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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Il dna da solo non basta: la storia serve

Capita spesso che episodi apparentemente marginali rivelino ciò che si agita sotto la superficie di una società meglio di tante disquisizioni. Recentemente, la Bbc ha pubblicato un video sulla Gran Bretagna al tempo dei Romani, che aveva come protagonista un uomo di pelle scura. Un africano, insomma. Una provocazione insopportabile per molti che si sono prontamente scagliati contro l’élite globalizzata e multiculturale, intenzionata a riscrivere la storia a proprio uso e consumo. Quando poi, pochi giorni fa, nel dibattito è intervenuta una professoressa di Cambridge, Mary Beard, con molti libri tradotti anche in Italia, per dire che le testimonianze confermavano quella ricostruzione e che la Britannia romana era «multietnica», la situazione è degenerata (ne ha dato notizia il «Corriere» martedì 8 agosto) e si è passati alla caccia all’uomo (o meglio, alla donna: come è facile verificare su Twitter, gli insulti sessisti sono fioccati). Cose che succedono, si dirà, quando i professori scendono dalle loro torri d’avorio. Ma vicende comunque interessanti che mostrano quanto sia sentito il problema identitario: con buona pace degli studiosi, certi fatti semplicemente non vengono creduti, quando la ricostruzione del passato si scontra con convinzioni radicate.
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Del resto, perché dovrebbero essere creduti? La discussione si è infiammata quando un altro studioso ha fatto sentire la sua voce, e non per dare ragione a Mary Beard. Nassim Taleb è un economista, autore de Il cigno nero (il Saggiatore), un bestseller in cui spiegava gli errori degli esperti al tempo della crisi finanziaria del 2008: con toni da stadio ha tuonato contro tutte queste ricostruzioni storiche, sciocchezze che presto saranno spazzate via dalla vera ricerca, quella delle scienze dure, e in particolare la genetica. Gli storici, soprattutto quelli che si occupano del passato più remoto, si perdono nelle loro ricostruzioni ipotetiche a partire dai pochi dati di cui dispongono, senza mai conseguire certezze assolute. Ma se sono proprio gli storici i primi a riconoscere che non possono garantire alcuna esattezza, come non concludere che di fatto non sanno nulla? Così hanno scritto in molti. Le analisi genetiche invece evidenziano l’assenza quasi totale di tracce di Dna di popolazioni africane nella popolazione britannica prima delle recenti immigrazioni. I fatti contro le ipotesi: fine della discussione.
È significativo: per molti è ormai tempo che le cosiddette scienze dure prendano definitivamente il posto di saperi come la storia, risolvendo finalmente questioni di cui si discute vanamente da secoli. È un altro segno dei nostri tempi, l’esigenza spasmodica di avere risposte certe, e la fretta con cui si corre da chi le promette. Il problema, però, è che le evidenze genetiche non conservano quasi traccia neppure del Dna dei Normanni. Bisogna dunque dedurre che neanche loro hanno mai messo piede in Gran Bretagna? Di certo, le nuove ricerche genetiche contribuiranno in modo sostanziale al progresso delle nostre conoscenze, ma non sono la bacchetta magica che permette di risolvere d’incanto tutti gli enigmi della storia umana. Offrono ulteriori informazioni, importanti ma parziali, che devono essere interpretate. Come spiegare questi dati (poche tracce del Dna di popolazioni africane o normanne) alla luce delle testimonianze raccolte dagli storici (che confermano la loro presenza)? Le certezze assolute, su chi siamo e da dove veniamo, non saranno mai troppe. Ma se vogliamo conoscerci un po’ meglio dobbiamo imparare a far dialogare i diversi saperi, scientifici o umanistici che siano. Pronti a cambiare idea, se le analisi mostrano che è ragionevole farlo, anche quando questo modifica il modo di considerare noi stessi e la nostra storia.