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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Gran Bretagna. Gli agricoltori con Carlo: «Salviamo dalla Brexit la campagna inglese»

Il paesaggio inglese è destinato a cambiare. Gli allevamenti, le piccole fattorie e imprese agricole che caratterizzano la campagna, nei prossimi trent’anni potrebbero scomparire del tutto. Colpa della Brexit, che mette a repentaglio tutto il settore agricolo, e allo stesso tempo dei sussidi europei, che hanno favorito le aziende grosse rispetto a quelle di stampo famigliare. A difesa della tradizionale distribuzione di campi e allevamenti si è sempre espresso il principe Carlo, che con le sue tenute in Cornovaglia è un paladino della coltura biologica. A rilanciare l’allarme abbracciando la battaglia dell’erede al trono, giunge adesso anche un rapporto dell’Associazione per la protezione dell’Inghilterra rurale, secondo la quale «il mosaico di fattorie che ha dato alla campagna carattere, bellezza e spazio per la natura» è in via d’estinzione: spetta al governo, indica un loro studio, invertire la tendenza «con sussidi mirati». «È una crisi silenziosa», ha sottolineato al Times Graeme Willis, autore del rapporto. «Le piccole fattorie che operano con metodi tradizionali faticano a ritagliarsi uno spazio sul mercato. Se non sapremo introdurre la giusta riforma agricola, rischiano di svanire completamente». I numeri indicano un fenomeno già ben avviato. Nel 2005 l’Inghilterra contava 85 mila piccole fattorie. In dieci anni c’è stato un calo del 30%. Oggi ne rimangono 59 mila. Allo stesso tempo le imprese agricole industriali, che occupano più di 200 ettari, si sono ulteriormente ampliate. La loro superficie complessiva è aumentata dell’11%. I problemi principali sono due. Da una parte la guerra dei prezzi – i supermercati premiano il prodotto più conveniente, favorendo le fattorie più grandi – dall’altra la mancanza di impegno politico: i sussidi Ue non sono applicabili a imprese con meno di 5 ettari. Riuscirà il governo a trovare una formula per il dopo Brexit che possa aiutare anche le aziende di famiglia, «che spesso – stando a Willis – sono un modello efficiente di produzione e puntano sulla qualità piuttosto che la quantità?». La loro scomparsa significherebbe meno posti di lavoro nelle campagne e meno senso di comunità nei villaggi, oltre al cambiamento fisico della campagna e alla perdita di habitat preziosi per la natura.
In Scozia il problema è stato arginato con una modifica del modello fiscale: chi lascia ai figli una fattoria o un allevamento non paga le tasse di successione. In Inghilterra, invece, la strada per fattori e contadini è in salita, anche se, grazie anche all’intervento del principe Carlo e di sua sorella Anna, c’è maggiore sensibilità. Con il rimpasto la premier Theresa May ha messo a capo del ministero per l’Agricoltura Michael Gove, uno dei principali architetti della campagna per la Brexit, che è un tipo cui piace andare a fondo. Ha già promesso dopo il divorzio dalla Ue sussidi più «pensati», che non «mettano tutte le risorse nella mani di chi già sta bene». Sicuramente sul governo c’è pressione, e non solo dai reali: l’inventore James Dyson è l’agricoltore più grosso del Paese. Per lui che ha votato Brexit il divorzio dall’Unione Europea significa la fine del sussidio di 1,6 milioni di sterline annui. «Tanti di noi – ha precisato – saranno costretti a smettere». Un problema anche per l’economia. Se il 58% degli agricoltori del Paese al referendum si è espresso a favore dell’uscita dalla Ue, il 55% degli introiti delle imprese agricole del Paese deriva dall’Unione Europea, mentre la Gran Bretagna produce solo il 60% del cibo che consuma.