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 2017  luglio 24 Lunedì calendario

Intervista a Philippe Donnet

Philippe Donnet: francese di nascita e per Legion d’Onore al bavero, italiano per lavoro – è group ceo di Generali – e un po’ anche per scelta di vita, europeo per ideali prima ancora che per questioni di business. Si descrive così il 56enne top manager che da sedici mesi è al vertice del gruppo assicurativo più grande d’Italia e tra i maggiori in Europa. In questa lunga intervista collettiva con la redazione economica del Corriere della Ser a non disdegna di prendere posizioni nette. Rivendica anche la partecipazione alle «operazioni di sistema» ma solo se servono davvero e incontrano anche l’interesse degli assicurati e dei soci. Ma prima di tutto c’è la compagnia, il ribilanciamento della presenza geografica da portare avanti per diventare «simpler, smarter» – è di mercoledì 20 l’annuncio dell’uscita da Colombia e Guatemala – e l’espansione nell’asset management, tra i più importanti cantieri in corso.
Viviamo in tempi traballanti dal punto di vista politico, per l’Italia e per l’Europa, e nel rapporto tra Italia ed Europa. Qual è la sua visione? Non pensa che sottovalutando il ruolo dell’Unione rischiamo di ritrovarci alla periferia dell’Europa?
«Noi siamo un gruppo internazionale, ma soprattutto europeo, perché facciamo in Europa buona parte del nostro fatturato. E questo non da ieri. Due anni dopo la fondazione nel 1831 le Generali avevano già aperto 14 uffici nell’Europa centrale e dell’Est. L’Europa quindi fa parte del nostro dna, culturalmente e per business e per questo per noi è molto importante avere un’Europa più forte e che funzioni. Io ho la passione per l’Europa e più la giro, più la vedo bella e con un potenziale enorme non totalmente espresso. Bisogna liberare queste energie, è questa la responsabilità dei governi europei e dell’Unione».
La scelta di volere più Europa non è soprattutto una scelta di business?
«La confusione creata dalla Brexit deve essere un’opportunità per ripensare l’Europa, perché non è positivo che gli inglesi siano usciti e bisogna evitare che altri Paesi abbiano la tentazione di farlo. Per fortuna è un rischio che in Francia, con Macron, abbiamo evitato. Una maggiore integrazione europea è una scelta obbligata, e parlo di integrazione economica, finanziaria, fiscale, sociale, di diritti del lavoro. Ma questo non può succedere senza una scelta politica forte: o si va verso l’esplosione dell’Europa o verso una maggiore integrazione. È una scelta, e per noi la scelta è ovvia. Vi faccio un esempio: in alcuni Paesi europei il livello delle tasse è troppo alto. Allo stesso tempo però non va bene il dumping fiscale. Bisognerebbe piuttosto abbassare il peso fiscale e armonizzarlo. E la soluzione va trovata solo nel contesto europeo».
Ma state vendendo Generali Leben in Germania. E sulla Francia girano sempre voci di un vostro addio...
«In Francia non c’è nessun processo e nessun pensiero di vendita, perché è troppo importante per Generali. Noi vogliamo rafforzare la nostra presenza lì. Circa la Germania, si discute nell’ambito di un programma di gestione proattiva del portafoglio Vita con garanzie. Ci sono pezzi di business più sfidanti per motivi di garanzie e di tassi locali negativi. Si può agire in tre modi: con la riassicurazione, gestendo il run-off nell’ambito del gruppo o vendendo un pezzo del portafoglio. Ma non cambierà la quota di mercato. Faremo quello che ci conviene di più. Lo studio è cominciato più di un anno fa. Dobbiamo valutare le offerte e studiare le alternative alle offerte. Spero che riusciremo a decidere entro fine anno».
Che visione ha invece dell’Italia, essendo Generali tra i principali investitori istituzionali a cominciare dai 60 miliardi di debito che detenete?
«In Italia abbiamo la nostra sede, del Paese penso cose positive. Sono convinto che, al di là di una certa agitazione della politica, ci sia una stabilità di fondo. E si continuano a fare le riforme giuste avviate tre anni fa».
Generali è stata spesso al centro di «operazioni di sistema», non sempre andate bene...
«Alcuni investimenti sono andati meno bene ma gestiamo una massa di 500 miliardi con rendimenti molto positivi. Mi parlate sempre dell’Alitalia: sembra importante ma non lo è rispetto all’ammontare dei nostri investimenti. Abbiamo investito meno dell’1% nelle banche italiane. Abbiamo deciso di entrare in Atlante 1 perché è nostro interesse avere un sistema bancario funzionante. L’abbiamo fatto per Mps dando la disponibilità a convertire i bond subordinati (per 400 milioni, ndr ) perché è una operazione di mercato e di sistema, positiva per l’economia del Paese e quindi per tutti gli stakeholder di Generali. L’abbiamo fatto e siamo felici che oggi ci sia una soluzione per le banche venete e una soluzione di Stato per Mps, perché siamo usciti dall’incertezza. Per diciotto mesi ho sentito gli investitori istituzionali parlarmi solo delle banche italiane. Oggi se ne parla meno. Anche per il futuro, se potremo fare un buon affare partecipando a una soluzione che conviene al Paese, perché no? Intesa Sanpaolo con Popolare di Vicenza e Veneto Banca ha fatto un buon affare partecipando a una soluzione per il Paese».
Come gestirete la quota in Mps?
«Prima eravamo creditori con i bond, domani saremo un azionista, forse il secondo, di Mps. Da quel giorno cominceremo a lavorare per valorizzare l’investimento, ma non so in che modalità».
Potreste eventualmente convertire in azioni i bond subordinati Carige?
«Nessuno ha chiesto la mia disponibilità per una conversione. Non ne so niente».
Di lei si sottolinea spesso che è un francese alla guida della prima multinazionale finanziaria italiana. Quanto le dà fastidio?
«Non mi dà fastidio, è un fatto: sono francese. E poi con la Légion d’honneur (indica la giacca, ndr ) non lo posso nascondere! Ma non è una situazione anormale: il ceo di Axa è tedesco, il ceo di Zurich è italiano, è francese quello di Unicredit. Ciò che è importante non è il passaporto ma la competenza, l’esperienza e l’adeguatezza alla funzione. Questo è un criterio che noi in Generali applichiamo. Poi tutto si mischia nella polemica: essendo francese io lavorerei per tutti i francesi di questo mondo, anche per quelli che non conosco. Non ha senso. Io vivo bene in Italia, ho casa a Venezia e a Milano e passo quasi tutto il mio tempo in Italia perché sto bene, è una scelta anche personale, di vita».
In che termini potenzierete l’asset management? È un effetto della tentata scalata di Intesa Sanpaolo?
«È vero che prima non c’era una strategia per l’asset management ma non è la vicenda Intesa che ci ha dato l’idea, per fortuna. È una strategia unica nel mondo assicurativo, molto diversa dai nostri concorrenti. Arrivare più tardi degli altri ci ha consentito di capire che cosa non ha funzionato dai nostri competitori. Anche il momento è molto diverso: prima l’asset management delle compagnie era fatto quasi solo di investimenti in governativi. Oggi le compagnie devono cercare investimenti alternativi e quindi noi abbiamo creato una nuova strategia che ci consente di avere accesso più comodo, meno costoso, a questi investimenti alternativi e di proporli ad altre compagnie. In Europa ci sono quattromila compagnie e non tutte possono avere l’expertise per realizzare questi investimenti alternativi».
Ci descrive la vostra strategia? Pensate ad acquisizioni?
«È una strategia multi-boutique, cercheremo asset manager con track record molto forte. Faremo leva sulla loro imprenditorialità per creare un allineamento degli interessi: noi che controlliamo la piattaforma e le boutique che cercano anche altri investitori, perché devono avere un’attività anche di terzi, non gestire solo i fondi di Generali. La nostra crescita non è basata sulle acquisizioni di asset management o piccole compagnie ma non le escludiamo se ci consente di accelerare nella crescita. Ma è una attività molto opportunistica è disciplinata».
Internet minaccia di disintermediare il rapporto con il cliente, come sta avvenendo con le banche?
«Noi non c’entriamo niente con l’attività bancaria. Si parla spesso di credit crunch ma mai di insurance crunch perché le compagnie non smettono mai di fare il loro lavoro. E poi è un lavoro molto diverso. Il conto corrente è facile ed è stato digitalizzato. Ma i prodotti assicurativi hanno un impatto diverso sulla vita del cliente e richiedono l’intervento di consulenti assicurativi che li spieghino per poterli vendere. Detto questo, non vuol dire che i clienti non hanno aspettative di interazione digitale con la compagnia, e per questo siamo già impegnati a sviluppare e modernizzare il triangolo compagnia-agente-clienti. Ma non ci sarà disintermediazione».
Che impatto hanno sul vostro business gli eventi catastrofali causati dal surriscaldamento del pianeta a causa dell’inquinamento?
«La relazione tra riscaldamento e tempeste e alluvioni crea un fabbisogno ulteriore per persone, famiglie e aziende. In Italia c’è una sotto-protezione nel ramo danni ed è un paradosso: il 75% del patrimonio è investito nella casa ma solo il 25% ha una protezione. Sono sempre stato a favore di una assicurazione semi-obbligatoria: se vuoi la copertura dagli eventi catastrofali devi prima averla sulla casa. Il sistema alla fine funziona e fa il bene dei cittadini e dello Stato, che non ha le risorse per pagare le conseguenze degli eventi. In Francia il 99% ha l’assicurazione sulla casa e questo consente di finanziare una compagnia pubblica di riassicurazione, ma il servizio di assistenza lo forniscono le compagnie».
State ragionando sull’evoluzione nel settore auto? Che impatti potrà avere dal punto di vista assicurativo l’auto che si guida da sola, per esempio?
«Avrà un impatto forte. Ovviamente diminuisce il rischio dell’auto ma cambia anche il modo di proteggere le persone, perché se io sono dentro una macchina guidata dal robot e succede un incidente, voglio essere protetto. Poi litigheranno fra di loro su chi ha la colpa il produttore del software, quello dell’auto e la compagnia. Alla fine riusciremo a gestire anche questo cambiamento, per noi il contributo della Rca all’utile totale è abbastanza contenuto».
L’innalzamento dei tassi che prima o poi arriverà che effetti avrà?
«Nella nuova produzione Vita abbiamo shiftato completamente sulle polizze unit linked (legate a un paniere di investimenti, ndr ). È un cambiamento senza ritorno, non torneremo a prodotti a capitale garantito. È ovvio che un rialzo dei tassi avrà un impatto positivo sugli utili. Noi abbiamo sofferto più degli altri del calo dei tassi perché siamo una compagnia prevalentemente Vita. Ma ne beneficeremo ora anche più di altri».