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 2017  luglio 24 Lunedì calendario

Buonuscita, lo sfogo di Cattaneo. «Gruppo risanato, i soldi che avrò non sono certo uno scandalo»

La cifra che mi verrà attribuita non ha nulla di scandaloso, né di disdicevole. Ho la coscienza assolutamente a posto. Il mio obiettivo in Telecom era migliorare alcuni parametri che sono stati migliorati. In molti casi anche in anticipo rispetto alle scadenze previste. A questo era legato il mio contratto che adesso viene semplicemente rispettato». In questi giorni Flavio Cattaneo è l’uomo più evocato – raramente con toni benevoli – sulle spiagge e negli uffici di tutta Italia. Quei 30 milioni di euro circa («ma saranno di meno», assicura lui a chi gli è vicino) che gli riconoscerà oggi il consiglio d’amministrazione Telecom fanno discutere. Arrivano al termine – assai anticipato rispetto al suo mandato di un incarico da amministratore delegato durato appena 16 mesi: scaldano una fetta di opinione pubblica e saldano assi politici inediti, come quello tra «le diseguaglianze sempre più ingiuste e insopportabili» evocate da Sinistra Italiana e il «disgusto» della Lega.
Sono giudizi che Cattaneo, sfogandosi con i suoi più stretti collaboratori, afferma di non ritenere né accettabili né giusti: «Io sono un professionista e non un normale manager. Chi mi chiama in azienda lo sa e ci si accorda di conseguenza. Non a caso solo il 10% della mia retribuzione in Telecom – 1,2 milioni – è fissa, mentre il 90% è variabile e dipende dai risultati raggiunti». E i risultati, come ha più volte detto in questi mesi e come anche i dati trimestrali dimostrano, ci sono. Quando giovedì 27 annuncerà – ultimo atto del suo incarico in azienda – i risultati del secondo trimestre 2017, è convinto che darà il segno del risanamento radicale dell’azienda, dove finora ha recuperato oltre un miliardo di margine operativo lordo, che giovedì saranno di più, e ha posto tutte le condizioni per «un anno iperpositivo». Del resto, Cattaneo non vede scandalo nel contratto che ha firmato e nella buonuscita che otterrà, anche perché «in un’ottica di mercato e di un’azienda privata le regole sono queste. Mica la Telecom ha finanziamenti pubblici».
Certo che gli interessi del grande socio francese Vivendi e quelli dello stesso amministratore delegato uscente appaiono oggi palesemente “disallineati” con quelli della grande maggioranza degli altri azionisti. Dal 30 marzo 2016, quando fu annunciato l’arrivo del manager che scendeva dal treno Ntv, a venerdì scorso il titolo Telecom ha perso il 15% circa; dal 12 aprile, quando Cattaneo si insediò al suo posto, è rimasto sostanzialmente piatto. Come è possibile premiare a suon di milioni un ad che non ha dato soddisfazioni agli azionisti? Anche su questo punto le osservazioni che Cattaneo fa ai collaboratori sono illuminanti: intanto perché, ripete spesso, «quell’accordo sulla mia retribuzione è passato in assemblea Telecom, e non solamente in consiglio d’amministrazione come di norma accade, con il 66% dei voti. C’è stata quindi un’ampia maggioranza dei soci presenti che ha deciso che era valido». E poi perché il manager-professionista, come da autodefinizione, ritiene che il piano industriale e quello finanziario vadano distinti «tanto che nei contratti che firmo non inserisco mai la quotazione di Borsa come obiettivo su cui calcolare la retribuzione» e che «alla fine i risultati del grande lavoro industriale che abbiamo fatto in questi mesi si vedranno e avranno effetti anche sul titolo della società, che è influenzato anche da altri fattori esterni». «Ma magari – ha scherzato con alcuni in questi giorni – quando il titolo salirà molti diranno che accade perché adesso per fortuna non ci sono più io in Telecom...».
Altro punto su cui Cattaneo ha molto da sfogarsi in questi ultimi giorni con chi gli è attorno è la lettura “politica” della sua uscita, legata al suo atteggiamento non esattamente conciliante nei confronti del governo sulla questione della rete in fibra e della concorrenza con Open-Fiber, ossia la società tra Enel e Cdp che ha come missione proprio quella di costruire una rete alternativa a quella Telecom. Non si tratta di questo, è la sua versione che coincide con quella della società, ma della decisione dopo 16 mesi di una separazione consensuale che nasce dal desiderio di Vivendi di affiancare all’ad e direttore generale un altro direttore generale di più lungo corso come l’israeliano Amos Genish: «Mi hanno chiesto di nominare un altro direttore generale. Per il modo in cui lavoro io ho pensato che andasse benissimo a patto che il mio contratto fosse rispettato. Abbiamo cercato l’accordo per un po’ e poi l’abbiamo trovato. Ormai l’azienda è ben impostata, il mio lavoro è finito in anticipo».